TORO Web - Il chiodo fisso del prete (Toro che non c'è più)
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Il chiodo fisso del prete (Toro che non c'è più)
Don Liberatore si fece prete per necessità . Ma alto e ben fatto com'era, restò il compagnone di sempre. Compagnone e cape àvete, testa alta, ovvero donnaiolo, ché quella delle donne, fu la vocazione sincera della sua vita.




Ancora oggi si racconta di quella volta che febbricitante a letto, fu tenuto sveglio per tutta la notte dagli amici che ballavano e cantavano davanti la porta della sua abitazione una canzone con il ritornello "Se nu vascio m'abbusco!" Se un bacio mi busco!, tanto che non poté più toglierselo dalla testa.

Per scacciare dalla mente le immagini di una vedovella che sapeva lui, e quella di una fresca sposa che di lì a pochi giorni doveva raggiungere in America il legittimo marito, sposato per procura, provò persino ad alzarsi e a trascrivere la canzone e il ritornello in un quadernuccio, che abbiamo tra le mani. e dal quale trascriviamo la data (Toro, notte di Pentecoste 1909) e i versi del ritornello. Ci sembrano più sigificativi rispetto alla strofa, che è un tipico strambotto popolare: con un pizzico di umorismo vi è sbeffeggiato l'imbarazzo dell'innamorato, che dell'amore non conosce nemmeno la casa e invano offre ciliege alla bella in cambio di un bacio, al quale deve rinunciare, perché solo quando saranno marito e moglie la buona figliola si dice disposta ad acconsentire a tale richiesta. Insomma, le blande romaticherie campagnole di sempre.

Ma il ritornello no. Il ritornello è meno romantico e più originale. Nel suo buffo impasto linquistico, esibisce vigore descrittivo e si capisce bene come il prete febbricitante potesse rimanere colpito dal suo crudo realismo.

Se nu vascio m'abbusco
mi fischiano le recchie,
mi si piega il ginocchio
mi si scùrdano gli occhi...

Bacio o non bacio, erano proprio le sue orecchie che continuavano a fischiare, le ginocchia a piegarsi e gli occhi ad annebbiarsi per la febbre. Andare alla scrivania per trascrivere la canzone che gli amici si accanivano a ripetere non era riuscito a calmarlo. E anche quando finalmente il canto e i suoni cessarono, nel recuperato silenzio primaverile il ritornello continuò a rimbombare nella testa del prete.

E così per tutta la nottata, al punto che la mattina dopo, durante la Messa, don Liberatore che continuava ad avere qualche linea di febbre si volse verso i fedeli, allargò le braccia e invece di dire "Dominus vobiscum", disse "Se nu vascio m'abbusco!", suscitando un terribile scandalo. Perlomeno nella persona del sagrestano che serviva la messa e che, dopo un momento di smarrimento, replicò a tono, chiedendo al celebrante come potesse continuare a dirsi prete . "E cúmme, si pprèuete tu?". Che le orecchie delle beghine in prima fila decifrarono nel canonico "Et cum spirito tuo". Tanto bastò per far ravvedere don Liberatore che prosegui correttamente con il "Sursum corda", In alto i cuori. Mentre il sagrestano, anziché continuare con l' "Habemus ad dominum", Sono rivolti al Signore, lo mandava definitivamente al diavolo, con una imprecazione feroce: "T'ha mannasse u dominum!". Cioè - Te la mandasse il Signore! La corda. Quella a cui appendersi.

Nota: Si prega di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo. Questo articolo è protetto da diritti Creative Commons
Postato il Domenica, 27 giugno 2010 @ 00:00:00 di giovanni_mascia
 
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