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Finalmente l'acquedotto 1959-60 (Toro che non c'è più)
Cinquantanni fa arrivò l'acqua corrente nel nostro paese. Rievochiamo quei momenti di euforia in questi giorni in cui come ogni anno in estate puntuale si ripete la crisi idrica nel nostro Comune. E per ore, i nostri rubinetti restano a secco con grave disagio della popolazione. Probabilmente, quando cInquant'anni fa arrivò l'acqua corrente a Toro, si pensò di avere sconfitto una volta per tutte l'atavica sete che ha afflitto la nostra popolazione. E invece...



Alla fine degli anni 50, la Cassa del Mezzogiorno finanziò anche il nostro Comune per la costruzione dell’atteso acquedotto comunale.

Alla sommità dei colli dei paesi si costruirono i serbatoi di alimentazione, che si scorgevano da lontano per il caratteristico intonaco dal colore rosso pompeiano.

Ricordo l’euforia e la grande partecipazione di popolo per quell’evento epocale. Dal serbatoio, fino alla piazza del paese, dove fu collocata la fontana, furono interrati grossi tubi neri per il trasporto dell’acqua.

I lavori furono effettuati in economia, e per lo scavo furono allertati tutti gli uomini del paese. Il banditore Trapolino, avvertiva che ogni uomo, munito del proprio piccone o badile, avrebbe dovuto donare almeno due giorni di lavoro per l’imponente impresa. Tale fu il comando del sindaco.

Mai avevo visto tanti uomini assorti tutti insieme per un’ opera che avrebbe evitato, finalmente, di attingere acqua dai pozzi del paese, del resto carente e non buona. Si scavava a mano, e curioso era vedere la lunga fila indiana di lavoratori, che iniziava dal Colle di Dio per finire fino alle prime case del paese. Si effettuarono scavi profondi quanto l’altezza di un uomo e i tubi di ferro rivestiti di catrame, venivano congiunti mediante fusione di piombo, che avveniva sul posto, ad ogni innesto di tubo, cioè ogni cinque metri. Nella caldarella veniva fatto fondere, seduta stante, il piombo, poi, mediante rudimentale anima di creta, veniva colato il piombo liquido nei tubi da congiungere. Mentre per rompere il selciato duro di cemento nel centro abitato, furono impiegati i primi rumorosissimi martelli pneumatici, che impaurivano gli anziani.

Giunto il giorno dell’inaugurazione, e del relativo collaudo dell’acquedotto, che avvenne di sera, tutti i toresi si assieparono, a circolo, presso la fontana della piazza, per scorgerne il primo spruzzo d’acqua. C’era gran ressa: vi era chi, per prudenza, allontanava gli astanti, asserendo che la forte pressione dell’acqua li avrebbe scaraventati tutti a terra; chi diceva che la pressione avrebbe fatto scoppiare i tubi, mandando l’acqua in cielo; chi, invece, sosteneva che ci sarebbe stato prima un forte sibilo, per l’aria contenuta nei tubi, che voleva giusto e definitivo sfogo alla fontana; chi avvertiva che sarebbe uscito prima del fango e impurità dalla fontana, e poi finalmente acqua potabile.

Insomma, l’ansia davanti a quel semplice monumento di mattoni, dal quale fuoriuscivano tre cannelle, posto a ridosso del muretto della piazza, fu tanta, e tanta spasmodica l’attesa, che alla fine fu notato, con estrema delusione, solo un piccolo e insignificante rivolo d’acqua, tra qualche sussulto e fischio. Il quale rivolo, però, divenne gettito potente solo dopo ripetuti comandi alla relativa manopola, posta dietro alla fontana, che qualcuno aveva provvidenzialmente e prudentemente chiuso, temendo l’atteso e temuto gettito impetuoso, che si diceva, avrebbe potuto sommergere tutta quella gente lì assiepata.

Da quel giorno i barili e le tine vennero abbandonati. Ad attingere acqua fresca e potabile del Biferno, alla fontana della piazza, ci si andava con i primi secchi leggeri di plastica “Moplen”.

L’anno dopo fu costruita una fontana in piazza S. Mercurio e l’altra davanti alla cappella di S. Rocco.

Poi, man mano, alcuni benestanti si munirono di un proprio rubinetto in casa.
Negli anni seguenti, alcuni maneggioni napoletani vennero a reperire le tine di rame, in cambio di bambole o sedie sdraio, riempiendo camion interi di quegli preziosi utensili, ormai diventati inutili.

Una alla volta, erano diventate molte le case munite di un rubinetto in cucina che scaricava lungo le cunette delle vie del paese. Quando ci si accorse che lungo Viale San Francesco, in entrambi i lati della strada, vi era perenne acqua reflua maleodorante con tantissime mosche, il sindaco pro tempore fece caricare ai tuttofare del comune una carriola di tronchetti di legno che furono innestati come tappi nei tubi che fuoriuscivano sulla pubblica via. Con tale stratagemma si invertì il flusso dell’acqua reflua, che fu fatta scaricare nella direzione opposta, verso gli orti e la campagna, prima di essere incanalata dopo qualche anno nell’apposita fognatura realizzata dalla Ditta Fidotti.

Vincenzo Colledanchise
Postato il Giovedì, 30 giugno 2011 @ 09:25:28 di enzo_mascia
 
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