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La comare con il culo cotto (Toro che non c'è più)
Beh, quest'anno si è messo a nevicare come nevicava una volta. Già, come ai miei tempi quando di neve ne faceva tanto e ci faceva paura perché con tanta neve rischiavamo di morire di fame e di freddo. E non morire tanto per dire. La povera gente come noi non aveva di che sfamarsi e di che scaldarsi. Però qualche soddisfazione ce la toglievamo...



La donna l’aveva levata allora allora dal fuoco...


Quando faceva freddo, mia madre mi mandava dai vicini, una volta uno una volta un altro. Certo non si aspettava che dividessero con me il poco pane che era scarso anche per loro, però almeno potevo scaldarmi al fuoco della loro legna, visto che di legna noi non ne avevamo e il nostro camino era sempre spento.

Così quel giorno picchiai alla porta accanto, da dove arrivava un profumo di cose buone. La chiave era nella toppa, giacché quella era l’usanza, ma per il momento non mi permisi di girarla. Il battente risuonò forte e immediata arrivò la risposta della padrona di casa: - Aspetta! Aspetta!

Nessuno veniva ad aprirmi. Là fuori il freddo era insopportabile. Perciò senza farmi scrupolo, dopo qualche momento entrai. In tempo per veder la vicina buttare qualcosa sulla sedia, come un piccolo cuscino, e sedercisi sopra.
- Buongiorno, cummà!

Mi rispose a malapena, armeggiando con la molla e il soffietto per sistemare alla bene e meglio la brace nel focolare. Ma si muoveva come fosse legata alla sedia da dove arrivava il profumo che adesso distinguevo benissimo: era il profumo di una pizza. Ed era tanto forte che a digiuno cme ero quasi quasi mi sentivo male. Capii che la donna l’aveva levata allora allora dal fuoco e per non dividerla con l’ospite non gradito che ero io, l’aveva poggiata sulla sedia, nascondendola sotto la larga veste, di quelle che una volta indossava anche mia madre.

Sgarbatamente mi chiese:
- Cummarè, che fa u timpe?
- Sciocche.
- Ah sciocche eh… - E aggiunse guardandomi storta: - Sciocche e male timpe fa: na case dell'atre è male sta'.

Era l’invito chiaro e tondo a lasciarla libera. Proprio: libera di mangiarsi da sola la pizza bollente su cui era seduta. Provai a fare finta che non erano miei i porci e intanto godevo a vederla irrequieta. Si spostava di lato, davanti, sbuffava. La faccia le si faceva di tutti i colori. Non riusciva a star ferma. Finché in malo modo non mi rinnovò l’invito ad andare via, ripetendo:
- Sciocche e male timpe fa:
na case dell'atre è male sta'

Non ricordo quanti anni avessi allora. Ricordo solo che ero poco più di una bambina. Mi divertivo a vedere la vicina che si torceva ma sapevo che non potevo continuare a starmene lì. Così non me lo feci dire una terza volta. E me ne andai, ma prima di muovermi, mi presi la grossa soddisfazione di farle capire che ero una povera ragazza, morta di fame e di freddo. Però non stupida. Gliele cantai:

I' me ne vaglie e me ne vaglie sicúre,
ma tú ca pjzze te si' cutte u cúle!


______________
Note per la buona interpretazione di questo aneddoto paesano:

sciocche: fiocca
Sciocche e male timpe fa:/ na case dell'atre è male sta': Fiocca e mal tempo fa:/ nella casa degli altri è brutto stare.
I' me ne vaglie e me ne vaglie sicúre,/ ma tú ca pjzze te si' cutte u cúle! : Io me ne vado e me ne vado, sicuro,/ ma tu con la pizza ti sei cotto (scottato) il culo.


Nota: Foto Galeazzo Arcibalbo di Romagna
Postato il Giovedì, 09 febbraio 2012 @ 16:00:00 di giovanni_mascia
 
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