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C’era una volta il convito di San Giuseppe (e simili) a Toro |
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Pubblichiamo volentieri una riflessione di Vincenzo Colledanchise, che si rifà a un suo precedente intervento di quattro anni fa, dedicato alla decadenza del Convito di San Giuseppe (e conviti analoghi) a Toro. Una decadenza che si accompagna con tutta una serie di ricorrenze tradizionali, una volta appuntamenti ineludibili della comunità, e oggi in via di estinzione o estinte sotto l’impietoso avanzare del tempo.
Il culto legato a San Giuseppe è molto sentito in tutto il nostro Molise ed in particolare nella nostra Comunità torese, perché nel tempo ha creato una forma di carità autentica verso i poveri con la “Tavola di San Giuseppe” o, altrove, denominato “Pranzo per i poveri”, offerto da parte di famiglie benestanti, nelle quali spiccano le virtù tipiche della nostra gente: la solidarietà e l’ospitalità.
“Si ha diritto da parte dei poveri ad avere da mangiare senza chiedere e senza ringraziare. Infatti non vanno ringraziati i padroni di casa ma il Santo” (da La Tavola di San Giuseppe nella tradizione di Casacalenda).
Non per nulla, nella casa dove è imbandita la Tavola il posto d'onore è riservato al quadro del Santo.
Il pranzo di magro, detto “de scàmpere” offerto agli ospiti, e in passato alla Sacra Famiglia, impersonata da un uomo sposato (San Giuseppe), da una donna (la Madonna) e da un giovane non sposato (il Bambino) è preceduto dalla benedizione e da alcune preghiere, e vengono ricordati gli avi che hanno dato inizio alla tradizione. A servire sono i padroni di casa e parenti di costoro che, a fine del pranzo, rinnovando le preghiere, invitano gli ospiti ad essere presenti anche l’anno venturo.
Avendo il sottoscritto constatato già, su questo stesso sito il 6 marzo 2008, “che la bella tradizione del convito si è andata man mano diradandosi presso le famiglie toresi per vari e giustificati motivi: ormai veniva fatta non più per i poveri, ma per colleghi ed amici d’ufficio, ecc..”, esaminando pur altre concomitanti cause, lanciavo l’idea “che tutte le famiglie che in passato organizzavano tale devozione potrebbero continuare a farlo offrendo denaro o viveri per una mega-devozione presso l'oratorio - caritas o in convento, invitando le attuali varie categorie sociali svantaggiate: malati della Fisiomedica, giovani disoccupati, anziani soli, extracomunitari, insomma i nuovi poveri. Ciò sortirà l'effetto di convincere coloro che, devoti a San Giuseppe, notando la finalità ritrovata del convito, saranno ben lieti di concorrere per la bella tradizione e Toro avrà certamente notorietà da tale evento socio- culturale - religioso . Solo così si potrà rivalutare il convito e perpetuare il ricordo vero ai posteri. Un po’ come avviene ogni anno a Natale a Roma nella Chiesa di Trastevere e commuove ed edifica chi la organizza e chi ne usufruisce”.
Lo spunto dell'intervento mi era stato dato, dai ragazzi della GIFRA di Toro che proprio in quei giorni avevano organizzato un convito ben riuscito per i malati della Fisiomedica ((clicca e vedi foto l'articolo su ToroWeb), richiamandosi allo spirito autentico della tradizione e in piena coerenza evangelica, e soprattutto in aderenza ai dettami conciliari che asseriscono che la Chiesa deve privilegiare “l'opzione fondamentale per i poveri” . Magnifica iniziativa la loro, che purtroppo non si è ripetuta negli anni futuri.
In seguito il Convito ha preso altre forme a Toro. Cose buone, senza dubbio. Utili per tramandare le gustose, antiche, tipiche pietanze contadine e, possibilmente, favorire la promozione turistica del territorio. Valide inoltre per facilitare l’aggregazione fra paesani e forestieri ma, bisogna riconoscerlo, con peculiarità tipiche della Sagra piuttosto che della Tavola per poveri, di cui parlavamo.
Insomma, si è smarrito il senso dell’agape fraterna così forte in passato. Sia chiaro: il mio intervento non vuole essere un’indebita ingerenza nelle cose toresi, essendo animato solo dalla amarezza di vedere dimenticate o travisate le tradizioni che, invece, dovrebbero essere gelosamente e scrupolosamente custodite per essere tramandate nel loro autentico significato e valore (e, personalmente, in questo senso, credo di aver contribuito in altre forme e sempre con lo spirito del servizio per la promozione sociale).
Con la preveggenza tipica del grande scrittore, Francesco Jovine nel suo Viaggio nel Molise già lo scriveva settant’anni fa: “C'è da chiedersi fino a quando potremo godere dei benefici offerti [a proposito della tavola di San Giuseppe] da queste donne semplici e generose [che l'organizzano]. Forse ancora per pochi anni se qualcuno non interverrà per accompagnare, continuare e preservare questa tradizione che resta... una specie di gioiello... da custodire ad ogni costo”.
Vincenzo Colledanchise
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Postato il Sabato, 18 agosto 2012 @ 01:00:00 di giovanni_mascia |
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