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I proverbi toresi di Marzo (Vita e cultura popolare) |
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![]() Proverbi e modi di dire popolari toresi, che i nuovi ritmi e stili di vita tendono a porre nel dimenticatoio.
Per seguire un ordine preciso, in linea con gli almanacchi di una volta, i proverbi sono agganciati allo sfogliarsi del calendario: Marzo, la primavera, la festa delle donne, San Giuseppe, l'Annunziata, l'attesa per la Pasqua.
 MESE DI MARZO
1.
Che Marzo sia la porta della primavera e della vita che rinasce, non c'è bisogno di ribadirlo. Tra l'altro si dice (o meglio, si diceva) a Toro:
Marze Marzécchie:
l'aiene mi' hanne mjsse i 'mpernécchie.
Marzo Marzecchio:
ai mie agnelli sono spuntate le corna.
* * *
2.
Nella ricorrenza dell'8 marzo, un omaggio sentito alla donna, con i migliori auguri. Un proverbio che esalta la donna virtuosa quale nume tutelare della famiglia.
'Na bona meglière fà 'nu bbune marjte,
ma 'nu bbune marjte ne ffà 'na bbona meglière
Una buona moglie fa un buon marito,
un buon marito non fa una buona moglie.
* * *
3.
Non poteva mancare un proverbio dedicato alla incostanza di marzo (non si dice che Marzo è pazzo?) e dei giorni primaverili in genere:
So' i iurne du checúle:
cinte n'ampónne e úne n'assúche.
Sono i giorni del cuculo,
cento a bagnare (con la pioggia) a uno ad asciugare (con il sole)..
Ovviamente lo abbiamo posto qui in funzione scaramantica, con la speranza che con l'arrivo della primavera si avveri l'esatto contrario.
* * *
4.
San Geseppe 'a merenne aspette,
'a Lenzeiate ce la 'ppruvate (Variante: ce l'ha neiate).
San Giuseppe
la merenda aspetta,
l'Annunziata
gliel'ha approvata (Variante: gliel'ha negata).
Il proverbio si riferisce alle due feste primaverili di San Giuseppe, 19 marzo, e dell'Annunciazione, che cade il 25 marzo, cioè nove mesi esatti prima del Natale (da notare la cronometrica precisione della Chiesa!). Le due ricorrenze ci ricordano che le ore di luce si sono allungate notevolmente. Chi è impegnato nei lavori dei campi, quindi, merita di essere rifocillato con la merenda, qui da intendere come il pasto frugale che il contadino consuma anche in piedi: due fette di pane o di pizza di granturco, per esempio, inzuppate in pomodoro e peperoni, e un sorso di vino. Sennonché un conto è il calendario, un conto il tempo meteorologico, che come in questi giorni di neve può continuare a essere invernale. Di qui il proverbio ambivalente: se davvero è bel tempo e ci si può trattenere nei campi, l'Annunziata conferma la merenda promessa al contadino da San Giuseppe; se invece nevica o fa cattivo tempo, tutti a casa davanti al fuoco e il padrone può risparmiare il pasto aggiuntivo per il lavorante..
* * *
5. Dopo il proverbio dedicato all'arrivo della primavera e alle festività primaverili di San Giuseppe e dell'Annunziazione, questo ultimo modo di dire ci proietta già alla Pasqua:
Mò ze fa i cunte, che jjurne vè Pasque
Sta conteggiando in che giorno cade Pasqua
La locuzione popolare fa riferimento alla mobilità della Pasqua, che come sappiamo può essere bassa o alta, cadere a marzo o ad aprile. Questo aspetto non poteva sfuggire all’occhio smaliziato e fine dei contadini toresi, che dicevano: Mò ze fa i cunte, che jjurne vè Pasque, se qualcuno si mostrava insolitamente pensieroso. I contadini sono molto bravi a usare la leva del doppio senso. E il loro dire può suonare ironico e sfottente: niente di più facile e inutile (si sa che la Pasqua capita sempre di domenica). Ma può anche significare, più seriamente: niente di meno scontato e discretamente complicato (legato com’è questo calcolo all’epatta, cioè al complesso di undici giorni che vanno aggiunti all’anno lunare per pareggiarlo al solare e conoscere così quando cadrà il plenilunio primaverile, e di conseguenza Pasqua, la domenica successiva).
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Postato il Sabato, 08 marzo 2014 @ 12:00:00 di toroweb |
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