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Terremoti e culto della personalità nelle lapidi della chiesa di Toro/ 5 |
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Quinta puntata. Il terremoto del 1913. A distanza di 108 anni dal devastante terremoto di Sant’Anna del 26 luglio 1805, la scossa del 4 ottobre 1913, a sera, e le altre che seguirono nella notte, gettarono nel panico le popolazioni molisane del circondario sud orientale di Campobasso. Ma per fortuna di tutti, il terremoto di San Francesco si risolse in molti danni, qualche ferito, ma nessuna vittima. A Toro danneggiò e rese inagibile la chiesa del Santissimo Salvatore, che rimase chiusa per quasi tre anni.
Toro, Chiesa arcipretale, Lapide che ricorda la riapertura della chiesa nel 1916
a seguito dell’inagibilità provocata dal terremoto del 1913 (foto S. Nazzario)
Un terremoto pressoché dimenticato, quello che alle 19.27 del 4 ottobre 1913 gettò nel panico i molisani dell’area di Campobasso e circondario di sud est. L’epicentro fu fissato genericamente “a sud di questa città e a NNE dei monti del Matese e monte Saraceno”. Citiamo dalla Gazzetta Ufficiale del Regno che, stampata il 6 ottobre, delinea uno scenario non tragico degli eventi. Jelsi, che già aveva pagato un prezzo altissimo con il terremoto del 1805 (27 morti e abitato distrutto in buona parte), fu il comune più colpito, con diverse case crollate e diversi feriti, tra cui alcuni gravi. Danni rilevanti si registrarono anche alle stazioni ferroviarie di Vinchiaturo e Sepino.
Ma fu a Campobasso, dove si verificarono disordini in ospedale e nelle carceri, e danni al convitto “Mario Pagano”, al palazzo municipale, alla caserma dei carabinieri, all' Intendenza di finanza e a molte case private, che si sfiorò la tragedia. Meno per i crolli che per la paura. I giornali del tempo, riportano la notizia dei gravi incidenti che si erano verificati nella chiesa di Santa Maria della Croce, quando al momento della scossa, i fedeli che vi erano assiepati, si precipitarono verso l’uscita urlando e imprecando. Nella ressa molti furono travolti e calpestati, tre donne svenute date per morte e numerosi feriti ricoverati in ospedale, con frattura di costole, contusioni ed escoriazioni più o meno gravi.
Gildone, Attendamento per il terremoto del 4 ottobre 1913, cartolina illustrata
Per fronteggiare gli esiti del terremoto, furono introdotte pratiche moderne di intervento con le tendopoli, che allora si chiamavano attendamenti, e con le sovvenzioni governative stanziate per le riparazioni più urgenti e per dare ricovero alle famiglie rimaste senza tetto. Tali interventi già dalla prime ore susseguenti alla scossa erano stati sollecitati al governo dai deputati molisani (Spetrino per Jelsi, Pietravalle per Vinchiaturo), in una gara di emulazione che oggi ci appare ispirata più a impulsi di visibilità politica che di solidarietà verso le popolazioni colpite.
Naturalmente il terremoto fu avvertito anche a Toro, dove a pagare le conseguenze peggiori fu ancora una volta la chiesa parrocchiale resa inagibile e interdetta al culto per più di due anni. Dopo i lavori di restauro fu riaperta ai fedeli nel 1916. A documentarlo, la lapide posta sullo stipite di ingresso del cappellone di San Michele.
Toro, Chiesa arcipretale, Lapide che ricorda la riapertura della chiesa nel 1916
a seguito dell’inagibilità provocata dal terremoto del 1913 (dettaglio, foto S. Nazzario)
La prima impressione è di trovarsi davanti a un'altra lapide esemplare per chiarezza espositiva. A danneggiare la chiesa non fu la prima, ma la seconda scossa, “il secondo terremoto”, che da altre fonti sappiamo essersi verificata alle 22.07 del 4 ottobre 1913. La chiesa fu riaperta nel 1916, in tempo di guerra e di carestia, più solida e magnifica e il miracolo fu reso possibile, ancora una volta sottolineiamo noi, dalla “carità cittadina”, alla quale si aggiunse la sovvenzione governativa.
Purtroppo la lapide non si limita a queste informazioni, perché in calce alla nobile iscrizione vi è incisa un’aggiunta che in qualche modo sorprende il lettore. Vi sono riportati, in caratteri cubitali e spropositati rispetto al contesto, i nomi di due persone che di norma restano anonimi: il nome di chi ha dettato l’iscrizione, e il nome di chi l’ha fatta incidere e sistemare in chiesa a sue spese.
Dettaglio dei nomi di chi aveva dettato e di chi fatto incidere la lapide
(dettaglio, foto S. Nazzario)
La sgradevole impressione generale è acuita da alcune circostanze specifiche. Luigi Alberto Trotta e Nicola Petrucci sono legati da stretti rapporti di famiglia, essendo il primo suocero del secondo. L'ultra ottuagenario Trotta, poi, è la stessa persona che aveva dettato le belle iscrizioni della scalinata (1885) e del campanile (1893), di cui abbiamo riferito in precedenza, guardandosi bene dal comparirvi né come autore né come sindaco pro-tempore di Toro e capo dell’amministrazione comunale che aveva patrocinato i lavori.
Non si capisce perché il genero Petrucci gettava alle ortiche il riserbo del suocero Trotta, un uomo che nel corso della sua vita aveva dato dimostrazioni concrete di giusto sentire e bene operare. Non si capisce, soprattutto, perché al Petrucci sia stata data facoltà di tramandare il proprio nome ai posteri, al costo di una lapide e delle spese per murarla in chiesa.
Un privilegio che appare inaccettabile, tanto più che in nessuna delle lapidi precedenti compaiono riferimenti personali. Senza dimenticare che l’Intendente di Molise aveva vietato (e aveva fatto benissimo), di far incidere in una lapide il nome di quel concittadino che aveva contribuito con la bella somma di 50 ducati alla ricostruzione della chiesa crollata con il terremoto del 1805 (per avere una idea del valore di tale somma: 50 ducati era il doppio del reddito annuale medio di un benestante con diritto di voto, e proprio di 50 ducati era stato il contributo governativo per la ricostruzione di tutto l’abitato di Toro, distrutto dal terremoto del 1805!). A ricostruire la chiesa era stata tutta la popolazione, tutti i toresi, indistintamente, ognuno per quanto aveva potuto dare. E lapidi ad personam sarebbero state ingiuste, oltre che inopportune. E allora perché un secolo dopo, pur senza meriti particolari, al dottor Petrucci fu concesso, non sappiamo se in via di fatto o di diritto, di immortalare se stesso e il suocero a carattere cubitali, al prezzo esiguo di qualche centinaia di euro attuali?
Dispiace che nella circostanza sia rimasto accomunato proprio Luigi Alberto Trotta, peraltro benemerito come storiografico e come sindaco di Toro per un quarto di secolo (1878-1902). A ben considerare, dispiace anche per lo stesso don Nicola Petrucci, che ad onta del moto di vanità esibito, vantava benemerenze come medico condotto e ne vanterà di migliori di lì a qualche anno come promotore e presidente del comitato cittadino per l’erezione del monumento ai caduti in guerra. Monumento, che il 25 agosto 1920 sarà inaugurato a Toro, uno dei primi in Molise, grazie ancora una volta all'encomiabile e generoso contributo della popolazione torese. Di tutta la popolazione torese, a cominciare da quanti avevano perso in guerra, fratelli, figli, mariti e padri.
25 agosto 1920 (vigilia di San Mercurio), Inaugurazione del
Monumento ai Caduti di Toro (Foto A. Trombetta)
(Continua)
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- Clicca e leggi la prima puntata: "Il cartiglio secentesco collegato al terremoto del 1688"
- Clicca e leggi la seconda puntata: "La lapide del portale che ricorda il terremoto del 26 luglio 1805"
- Clicca e leggi la terza puntata: "La lapide della scalinata di accesso 1885"
- Clicca e leggi la quarta puntata: "La lapide del campanile (1893)"
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Postato il Venerdì, 13 marzo 2015 @ 23:00:00 di toroweb |
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