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I fatti di Parigi tra finta democrazia, moda ed esibizionismi
Riceviamo e pubblichiamo volentieri una riflessione di Luca Castiello circa le reazioni dell'opinione pubblica ai tragici fatti di Parigi, in relazione al lavoro dei media e a quanto diffuso dai social. Una riflessione interessante e stimolante, da leggere e meditare.





La manipolazione della coscienza del popolo è lo strumento più incisivo a disposizione dei governanti per la gestione e la conservazione del potere.

La garanzia di ottenere un “ordine del disordine” calato dall’alto con atti di finta democrazia rappresentativa, presuppone l’esistenza di una comunità debole, priva di consapevolezza e di spirito critico e disposta, senza porsi troppe domande, ad ingoiare senza neppure masticarlo il piatto del giorno offerto dai caudatari mezzi d’informazione.

Alla tediosa rappresentazione del bieco servilismo politico che si insinua infimo tra le pagine della maggior parte dei quotidiani e nelle redazioni delle più importanti emittenti televisive, si aggiunge oggi, in una società nella quale non è l’individuo che cerca l’informazione, ma è l’informazione che “molesta” l’individuo con ogni mezzo, l’azione meschina e suadente dei social network che, tra ottuse banalità e dotta ignoranza, consigliano alle masse di onnipresenti internauti le cose da fare, le parole da dire e le opinioni da condividere.

Una comunità di persone, a prescindere dalle dimensioni, tanto più è forte quando conserva la propria identità, quando riesce a filtrare le notizie che giungono dall’esterno, anche di fronte ad avvenimenti tragici e dolorosi come l’attacco terroristico avvenuto a Parigi.

Per resistere all’azione di chi detiene il potere, il popolo può conservare intatte le proprie libertà attraverso la conoscenza della realtà empirica così come essa è, e non come viene rappresentata, avvicinandosi quanto più possibile alla verità dei fatti, per esprimere un giudizio di valore che è al tempo stesso una dichiarazione di libertà nei confronti di qualsiasi apparato, che sia o appaia democratico, che sia fondato sulla violenza o sulla persuasione.

Ma quanto è avvenuto nelle ore successive ai sanguinosi fatti di Parigi, può condurre i popoli europei verso una reale e concreta autodeterminazione dello spirito, prima ancora che politica? Le risposte date dai giovani del vecchio continente possono rendere le Nazioni occidentali finalmente capaci di elaborare una critica costruttiva e, se necessario, distruttiva nei confronti di chi li governa?

Tutti abbiamo avuto modo di conoscere, attraverso internet e i media, quali sono state le reazioni dei giovani europei nelle ore successive al massacro.

Nelle concitate fasi degli attentati, mentre diverse decine di persone fuggivano terrorizzate per le strade prossime ai luoghi del massacro, alcuni parigini residenti proprio in quei luoghi hanno pensato di creare su Twitter l’hashtag #PorteOuverte (porte aperte), per informare chi rischiava di essere tranciato da una raffica di mitra che poteva rifugiarsi in casa loro.

Considerata la portata della tragedia, sembra uno scherzo riuscito male: era difficile pensare che, quei poveri disgraziati in preda al panico, avessero avuto voglia, modo e tempo per consultare Twitter in un momento del genere. Non era il caso di scendere al pian terreno e di aprirle davvero quelle porte? Come è possibile che, anche in contesti così gravi, molti individui possano perdere il contatto con la realtà e rivolgere la loro attenzione al mondo finto dei social?

Nelle ore della commozione destinate alla triste conta dei morti, giovani parigini si sono ritrovati in Place de la Republique per offrire ai passanti abbracci gratuiti!

Questa “notizia” edulcorata avrà di certo commosso milioni di cittadini europei che in quelle ore erano davanti alle televisioni. Ma è lecito avere il dubbio che si tratti di una non informazione strumentale ad eliminare lo spirito critico mediante la favola della solidarietà che induce a stringersi tutti in un tenero abbraccio e a dimenticare tutto il resto? Non è forse questo un esempio di coscienze incapaci di elaborare un ragionamento logico-razionale che conduca ad una risposta opportuna? Questo gesto banale e privo di raziocinio non somiglia al modo di comportarsi di tanti giovani che ogni giorno anelano una scusa per mettersi in mostra sui social? (il ricordo di un familiare defunto, un messaggio d’amore al partner, un aforisma copiato chi sa dove, la nascita di un figlio).



A poca distanza da uno dei luoghi delle stragi, uno sconosciuto musicista, mosso a compassione, aveva trascinato il suo pianoforte in strada per rumoreggiare davanti alle telecamere qualche nota di tristezza. Qual è la necessità di trasmettere questa informazione in un momento di lutto così duro? Le nostre città sono sempre piene di musicisti di strada. Ma, a pensarci bene, questa patetica messinscena non richiama alla mente una puntata qualsiasi di “Tu si que vales”, “Italia’s got talent” o “X factor”?. Dunque, nell’Europa del terzo millennio, ogni momento è buono per esibirsi davanti alle telecamere, anche se ci sono decine di corpi di morti ammazzati a pochi metri di distanza?

Molti giovani europei hanno issato la bandiera francese sulla foto del proprio profilo Facebook, ma non hanno mai pensato di sventolare le bandiere di tante altre vittime del terrorismo nel mondo: gesto che indica scarsa personalità e forte esposizione alle manipolazioni provenienti dall’esterno. Infatti, quando Facebook ha taciuto sulle stragi di centinaia di Yazidi operate dall’Is e sulle vittime dell’aereo russo abbattuto sul Sinai, tutti gli internauti hanno fatto spallucce; quando invece Facebook ha invitato i suoi seguaci ha vestirsi con la bandiera francese, subito tantissimi hanno obbedito accettando una triste omologazione di massa.

Altri, per essere alla moda, hanno seguito l’hashtag #JesuisParis, forse non chiedendosi neppure cosa significasse quella scritta, mostrando una ego oltremodo smisurata, identificandosi con una metropoli abitata da milioni di persone.

Circa quarantotto ore dopo le stragi, quelli che erano diventati nel frattempo Parigi, Parigini e Francesi di ogni regione, si sono accorti di una nuova moda, i cui seguaci erano quelli che, pentiti e giustamente auto definitisi razzisti, richiamavano ora l’attenzione anche sulle vittime delle altre stragi jihadiste, quelle che vanno meno di moda, come le bambine kamikaze usate da Boko Haram per seminare morte e distruzione.

Ma è davvero questa la nostra risposta al terrorismo? È questa la risposta che i giovani occidentali danno a chi minaccia di estinguere il loro mondo? Questa mediocrità senza fondo?

Noi parliamo di barbarie quando commentiamo le atrocità commesse dai terroristi.

E a quali aggettivi dovremmo attingere nella tavolozza della pochezza se ci chiedessero di parlare delle nostre reazioni?

Questo è il modo con cui vorremmo difendere il nostro modo di pensare la vita, i rapporti umani, l’amicizia, la cultura, l’arte, lo svago, la religione?

Ho sentito un edicolante di Roma dire: “Loro ce ammazzano co le bombe e noi je sparamo cazzate”. Mi sarei aspettato da un francese, almeno uno, una citazione di Voltaire, di Rousseau, una rievocazione qualsiasi dell’Illuminismo.

Niente di tutto questo. Tutti impegnati a tessere le lodi del cane Diesel, come se poi un cane avesse le facoltà mentali per scegliere se compiere un gesto da eroe oppure no. Povera bestia, l’uomo l’ha addestrata per morire in quel modo; ce l’hanno mandata, come direbbero a Roma, se avesse potuto decidere, forse sarebbe andata al parco a giocare con i suoi simili.

Tutti i gesti di solidarietà finti, banali, inutili, modaioli (non si comprende perché nessuno si è messo a piangere con la bandiera spagnola in mano dopo le stragi che colpirono la vicina Madrid nel 2004; forse perché l’alta moda, come sanno tutti, non è certo spagnola, ma è francese) viaggiano parallelamente ai soliti rituali di superficiale fratellanza messi in scena dai governanti: inno francese masticato ovunque, persino prima delle partite del campionato di calcio di serie A (roba da matti, il calcio italiano esprime in modo pacchiano solidarietà ai francesi, ma il presidente della FIGC ha più volte rilasciato dichiarazioni discriminatorie contro gay, lesbiche, donne, gente di colore, francesi e non), monumenti delle capitali “vestiti” con la bandiera transalpina, solite dichiarazioni false di amicizia.

Purtroppo, a prescindere dalle meschinità con le quali i governanti spesso offrono ai popoli una realtà edulcorata, i fatti parlano di una Europa come sempre divisa, incapace di serrare i ranghi persino nell’attualità di una minaccia mai così grave e concreta.

Una minaccia figlia di una ignoranza brutale, generata da individui che non hanno alcuno scopo, nessun progetto o sogno politico, se non quello di annientare i propri simili.

Una ignoranza truce e abominevole, che non può essere combattuta con altra ignoranza, ma soltanto con la forza della ragione.

Luca Castiello
Postato il Sabato, 28 novembre 2015 @ 17:00:00 di giovanni_mascia
 
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