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Un rinomato cuoco di Toro, zi Jennare Penzire |
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Il 3 gennaio 1907 nasceva a Toro Gennaro Evangelista, meglio conosciuto e ricordato con il soprannome di famiglia, Pensiero o Pensieri. Ufficialmente contadino di professione, con un basso grado di scolarizzazione, appena la terza elementare, che comunque all’epoca poteva essere considerato di valore medio, sposato e senza figli, zi Jennare Penzire è stato una vera istituzione a Toro, e nel circondario, dove era conosciuto come cuoco rinomato.

Nozze Tucci-Quicquaro 28 ottobre 1965.
Zi Jennare ritratto insieme agli sposi e all'Assistenza nei locali del Convento
Non è noto dove Zi Jennare avesse potuto imparare la sua arte sopraffina, grazie alla quale divenne il protagonista di ogni pranzo di nozze degno di questo nome, che all’epoca, anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, di norma veniva imbandito nella casa di uno degli sposi, quasi sempre il maschio, adeguatamente messa in comunicazione, tramite opportune aperture e finestrelle estemporanee con le case di vicini compiacenti, per accogliere gli invitati che a centinaia onoravano l’immensa tavolata.
Tavolate che poi a Toro, negli Anni Sessanta e nei primi Anni Settanta, furono meglio sistemate nel salone del convento o nei locali a pian terreno del palazzo comunale, una volta che l’Asilo Infantile, ivi alloggiato, era stato traslocato nel nuovo edificio adiacente alla Scuola elementare, oggi sede della Caserma dei Carabinieri.
Vero è che case private, convento o locali del municipio, zi Jennare, che oltre alla sua prestazione metteva a disposizione anche l’ingente bagaglio del pentolame occorrente, si moveva tra cottore e cottorelli, marmitte e tegami d’ogni risma, pignatte, graticole, damigiane, pretti e bottiglie con l’autorità di un ufficiale alla testa della sua truppa, che nel caso suo era costituito dalla cosiddetta “assistenza”, ovvero il nugolo di amici e parenti stretti dello sposo, incaricati di coadiuvare il cuoco in cucina e servire a tavola gli invitati.
Nonostante la voce in falsetto, le disposizioni erano perentorie e gli amici e i parenti stretti, dell’uno e dell’altro sesso, nel dì della festa avevano ben poco da festeggiare e assai da tribolare, e tuttavia si rifacevano alla grande il giorno dopo, con il pranzo nuziale bis apparecchiato solo per loro.
Non si derogava, ottimi gli ingredienti: vino locale, polli ruspanti, agnelli e vitello delle masserie della zona. Fisso il menù, che dopo l’antipasto di rito, includeva il celestiale consommé, con pastina all’uovo e polpettine di pollo, il celeberrimo e coloratissimo spezzatino di fegatino d’agnello con cacio e uova, che gli occhi degli ignari potevano scambiare per panettone, tanto era giallo, alto e soffice, e i maccheroni degli ziti conditi con il ragù in cui erano state affogate le monumentali braciole arrotolate, farcite con uova sode…
Erano queste le portate che facevano di zi Jennare una celebrità, ma che non completavano il pranzo luculliano che proseguiva con l’arrosto di agnello o di pollo, frutta e l’immancabile cassata siciliana, servita agli invitati su fogli di carta oliata. E già, perché il contesto era decisamente spartano, tant’è che la tavola e i sedili, senza schienali, erano ricavati da assi di carpenteria, sistemate su cavalletti e opportunamente foderate con fogli resistenti di carta bianca.
I primi anni Settanta posero fine al mondo di Zi Jennare. Prese piede l’uso di festeggiare le nozze presso le sale decisamente più accoglienti dei ristoranti, che spesso tuttavia facevano rimpiangere le ottime portate del rinomato cuoco torese, il quale si ritagliò uno spazio definitivo nella cultura tradizionale della sua terra venendo a mancare proprio in quegli anni di trapasso tra il vecchio e il nuovo mondo.
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Postato il Venerdì, 03 gennaio 2025 @ 00:42:46 di giovanni_mascia |
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