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Skármeta: scrivere con Toquinho (dalla prima pagina di Repubblica)
Toquinho torna agli onori delle prime pagine internazionali. C'è grande attesa anche in Italia per la pubblicazione del prossimo CD, frutto della collaborazione con il grande scrittore cileno Antonio Skármeta, autore, tra l'altro, del romanzo “Il Postino di Neruda” del 1986, dal quale è stato tratto il film “Il Postino”, diretto da Michael Radford, l’ultimo indimenticabile capolavoro cinematografico di Massimo Troisi.

Repubblica — 21 novembre 2008, in prima pagina — ha pubblicato un articolo dello scrittore cileno, che racconta della sua amicizia con Toquinho e di "Questa strana società nata dall' incanto che da decenni gli procura la sua arte, la raffinatezza e l' allegria di quelle composizioni che costruì con Vinicius de Moraes e il piacere che prova di fronte a un chitarrista straordinario". L'articolo è arricchito da tutta una serie di aneddoti evocati proprio dalla chitarra di Toquinho, dalla quale - confessa lo scrittore - è rimasto stregato.






L'autore de "Il postino di Neruda" racconta la sua avventura musicale

Skàrmeta: scrivere con Toquinho

(Repubblica — 21 novembre 2008)

Da più di un anno, con le intermittenze che ci consentono le nostre vite nomadi, stiamo andando avanti, Toquinho ed io, a creare un album con musica sua e testi miei. Questa strana società è nata dall' incanto che da decenni mi procura la sua arte, la raffinatezza e l' allegria di quelle composizioni che costruì con Vinicius e il piacere che provo di fronte a un chitarrista straordinario. Ci ha uniti la reciproca simpatia, qualche accento umoristico, la devozione per la poesia (che alla lunga unisce la gente più delle cuciture e dei contratti) e questa meravigliosa abitudine che c' è in Brasile di mettersi insieme per inventare qualcosa, stimolandosi e perfezionando le proprie energie.Il risultato di tutto questo è che ora sono parceiro (socio) di Toquinho, che con ogni probabilità a febbraio andrà allo studio Biscoito Fino di Rio de Janeiro per incidere la nostra avventura.

Quello che non mi sarei mai immaginato è che nel corso di questo processo creativo comune, che ha avuto tappe in Cile, in Italia e a San Paolo, si sarebbe sviluppata anche un' amicizia che ha avuto il suo momento topico, fortemente simbolico, quando per il mio compleanno, Toquinho si è presentato nella mia casa di Santiago consegnandomi in regalo la sua chitarra. Di fronte alla mia perplessità, mi ha allungato un certificato scritto a mano che recita: «Ti regalo questa chitarra, che è stata mia compagna in mille spettacoli e con cui ho composto e inciso tante canzoni, tra le quali Acquarello».

Per ricambiare con la stessa moneta avrei dovuto conservare nei miei bauli la mia prima macchina da scrivere Underwood. Oppure la velocissima Olivetti Lettera 22 della mia giovinezza, che massacrai mettendo nei miei primi racconti più enfasi di quello che la fragile fanciulla italiana poteva sopportare. Alla fine ho preso in braccio la chitarra di Toquinho e nel giardino primaverile, con le azalee in fiore, ho profanato le sue corde sentendo le guance avvamparmi dalla vergogna.

Ai tempi in cui Toquinho cantava a Copacabana o nella Fusa con Vinicius e Maria Creuza, io mi accanivo in Cile con sprovveduti accordi contro una chitarra che avevo imparato a suonare (male) in una pensione della calle Mendoza, nel quartiere Belgrano di Buenos Aires, dove emigranti di Santiago del Estero aggredivano di sera zambas e vidalitas in cui piangevano l' assenza dei loro villaggi natii. Imparai a cantare La Nochera, Lloraré, Paisaje de Catamarca e quando persi il mio primo amore composi un blues feroce intitolato Ok, il cui verso chiave diceva: «è ok se te ne vai, molto bene, ma quando torni vedrai che non mi manchi, perché io starò ok». «Well and damn it and Okay», ruggivo colpendo la chitarra col dolore di un suonatore di blues di New Orleans. Ma la canzone non conobbe vita pubblica e la ragazza non tornò per vedere come «mi allontanavo da lei cantando le mie belle vendette». Come direbbe il collega Shakespeare: «Pene d' amor perdute».

E poi ci fu un' epoca in cui la chitarra fu il nemico pubblico numero uno di noi giovani innamorati, che ballavamo stretti stretti i pezzi dei 4 Ases, di Johnny Ray, di Nat King Cole, premendo con dita febbrili la cintola inebriante delle ragazze diciottenni e cullandoci nell' idea di un' imminente, torrenziale avventura amorosa. Sant' iddio, vergine santissima e dodici apostoli! Per tellurico che fosse, per quanto il nostro animo fosse sinceramente repubblicano, ci struggevamo d' impazienza quando il suonatore, con dimesso sorriso di chi la sa lunga, ci sciorinava chilometri e chilometri di Los cuatro generales, mamita mia, Los tomates che los ponen en una lata y los mandan pa' Caracas, Sapo Cancionero, Angélica cuando te nombro, Las penas y las vaquitas, e un eccetera interminabile accompagnato dagli applausi entusiasti dell' anfitriona e dagli indiscreti sbadigli degli spasimanti a cui avevano staccato la spina in medias res.

Nel periodo in cui era in auge la musica cebolla composi un bolero che, con un certo successo nel quartiere, batté tutte le pacchianerie del genere. Si chiamava La perla roja (La perla rossa) e raccontava la storia di un innamorato felice che sfociava nel matrimonio, per concludere la canzone con un sospiro trionfale: «~y en la sabanas, inmaculadas, la perla roja de tu honor, que guardaré eternamente en mi corazon» (~e nelle lenzuola, immacolate, la perla rossa del tuo onore che conserverò eternamente nel mio cuore).

Dopo il golpe di Pinochet, abbozzai un furibondo Rock del democristiano pentito, dove prendevo di mira i sostenitori di quel partito. I versi erano confessionali: «Yo no di lo que pude dar, por esa Unidad Popular, y ahora que todo se ve perdido, de nada me vale estar arrepentido» (Io non diedi quello che potevo dare per questa Unidad Popular, e ora che tutto è perduto, non serve a niente pentirsi).

E forse il mio ultimo abbandono a questi raccapriccianti slanci è stato durante l' esilio, quando un giorno, a Parigi, incontrai un compagno cileno che non combaciava affatto con il prototipo del rifugiato latinoamericano, povero, senza lavoro, intristito dalla nostalgia, sfiancato dagli sforzi militanti che apparivano tanto inadeguati. Questo compagno invece guidava una Volvo stratosferica, indossava una giacca di pelle e mi invitava a mangiare ostriche a La Coupole. Sconcertato, gli chiesi che mi spiegasse da dove gli veniva tanto benessere, e lui mi confessò che era l' amante di una nobile principessa polacca. Quella stessa sera, tra ostriche e Champagne, presi la sua chitarra e composi, con suo spassionato assenso, Il twist della polacca: «Polaca/ de corazon generoso/ eres para mi/ como la miel para el oso/ Polaca/ de corazon generoso/ eres mi sostén/ mi sostén economico» (polacca/ dal cuore generoso/ sei per me/ come il miele per l' orso/ polacca/ dal cuore generoso/ sei il mio sostegno -sostén vuol dire anche "reggiseno"/ il mio sostegno economico).

Di tutte queste goliardate mi sono ricordato guardando con devozione questo frammento del cuore di Toquinho: la chitarra con cui incise Acquarello. Giuro di fronte ai miei lettori e agli ammiratori di Toquinho di non tirarla mai fuori dalla custodia, a meno che un giorno non mi venga a trovare Eric Clapton.
ANTONIO SKÁRMETA
(traduzione di Fabio Galimberti)

Postato il Martedì, 02 dicembre 2008 @ 11:51:45 di giovanni_mascia
 
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Re: Il Quotidiano del Molise su Skármeta e Toquinho (Voto: 1)
di Redazione il Venerdì, 05 dicembre 2008 @ 16:27:47
(Info Utente )
Dal giornale Il Quotidiano del Molise del 4 dicembre 2008 che rilancia l'articolo sulla collaborazione tra Skármeta e Toquinho

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