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Churchill e l'Inghilterra sfottuti a Toro, a Loreto Aprutino e a Napoli
È nota la violenza della campagna denigratoria scatenata da Mussolini contro i nemici, dopo l'entrata in guerra dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale, al fianco di Hitler. Meno noti gli echi strapaesani di quella campagna provenienti dalle ultime zolle dell'impero fascista, come Toro o Loreto Aprutino.


Umberto Tirelli (1871-1954), La battaglia dell'Atlantico. Così nel 1941 Churchill, qui sbeffeggiato come un imbelle bagnante, chiamò la battaglia navale scatenata all'avvio delle ostilità, che durò tutta la guerra, fino alla capitolazione della Germania


Fin dalla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, consegnata agli ambasciatori delle potenze alleate, Mussolini mirò in particolare a provocare e a rinfocolare sistematicamente l'odio degli italiani contro il "nemico". Lui non aveva dubbi: "Non si fa la guerra senza odiare il nemico, senza odiarlo dalla mattina alla sera, in tutte le ore del giorno e della notte, senza propagare quest’odio e senza farne l’ultima essenza di se stessi". Invitava perciò gli italiani "a spogliarsi una volta per tutte dai falsi sentimentalismi", convinto come era di avere "di fronte dei bruti, dei barbari".

Ridotta all'impotenza la Francia, occupata dai Tedeschi, e considerando lontano il pericolo statunitense, la campagna d'odio mussoliniana fu in un primo tempo riversata contro l'Inghilterra, la "perfida Albione", contro gli inglesi e contro il loro primo ministro, Winston Churchill.

I giornali, i manifesti, la radio fecero a gara a dipingere gli inglesi come mangioni e beoni, adoratori dello stomaco e non del cuore, popolo che navigava nell’oro ma senza una goccia di sangue, soldati senza coraggio, incapaci di combattere, rappresentati come cani impauriti, che abbaiano scappando via. Al pari di loro, Churchill, il primo ministro era rappresentato come un imbelle alcolizzato, degno compare dello "sciancato" presidente americano Roosevelt, una coppia di banditi.


Nel manifesto (1944?) firmato da Gino Boccasile (1901-1952), Churchill e Roosevelt, gangster armati di pistole all’insegna della pirateria, sono accusati di essere i responsabili dei bombardamenti con distruzioni di città e morti di bambini…


A Toro, invece, il Churchill della canzoncina satirica, ribattezzato Ceccille, era trattato molto più bonariamente. Era visto come un semplice contadino, magari sempliciotto, per il quale bisognava pregare la Madonna che stornasse la pioggia, onde permettergli di raccogliere i pomodori. Insomma, per i toresi il primo ministro inglese non era altro che un poverocristo come loro, del quale era impossibile avere paura.

Questa la strofetta, che si cantava in paese sull'aria dell'introduzione di Reginella campagnola, la famosissima canzone del compositore molisano Eldo Di Lazzaro, in gran voga a quei tempi:

O Madonne ne ffà chiove
ca Ceccille è iute fore,
è iute a ccoglie i pammadore
i pammadore pe mmagnà.

A comprova della bonarietà della strofetta torese, l'essere ricalcata sulla falsariga di analoghe canzoncine popolari, diffuse in Puglia e in Campania, nelle quali il Ciccillo di circostanza non è altri che il padre. Per esempio a Mattinata (Foggia), è il padre andato in campagna senza cappa: "Madònna mèie, nen-fé chióve, / ca tatà è scjute fóre, / è scjute sènza cappe / e lla Madonne mandéne l'acque". A Napoli, invece, è il padre con le scarpe rotte: “Marò nun fa chiovere / ca’ papà è ghiuto fore, / e tene ‘e scarpe rotte / ‘a Maronna ‘e Piedigrotta”. Mentre nel Cilento è il padre che le scarpe se l'era proprio dimenticate: "Maronna mia nù fa chiov' / ca tata è gghiut' for', / è gghiut' senza scarp', / maronna mia mantien' l'acqua".

Ancora più affettuosa e delicata è la preghiera rivolta alla Madonna del Pozzo a Bagnoli Irpino da una ragazza in trepidazione per il "ninno suo", pastore o boscaiolo non si sa, che si trova lontano in montagna, esposto al temporale. Almeno gli potesse portare il suo mantesino per non farlo bagnare!

Marònna r’ lu Puzzu, nun fà chiove,
mantieni l’acqua e nu’ la fa menà-ne;
nun fà chiove,
mantieni l’acqua e nu’ la fa menà-ne.

Ng’è ninnu miu ncopp’a la muntàgna,
te prèu, Bella mia, nu’ lu fa nfonne!
a la muntàgna,
te prèu, Bella mia, nu’ lu fa nfonne!

Vistu ca ninnu miu è tantu luntanu,
nge vogliu purtà-ne stu vantesìnu,
tantu luntanu,
nge vogliu purtà-ne stu vantesìnu.

Ma allora, se le cose stanno così, cosa c'è di satirico nello sfottò torese ai danni del nemico, in un contesto campagnolo, di pioggia imminente, in cui se non si trepida per la sorte dell'innamorato si canzona con affetto la figura del distratto genitore? In altri termini, siamo proprio certi che il Ceccille di Toro stia a indicare Churchill? E chi ce lo assicura?

Ad assicurarcelo sono i nostri informatori, Anna Iacobacci (1923-2021) e Antonio Di GIronimo (1930-2018), che a suo tempo hanno giurato su questa precisa identità, peraltro divertiti all'idea di un impacciato capo del governo sul punto di venire sorpreso dalla pioggia mentre sta raccogliendo pomodori. Soprattutto lo conferma il ritornello che teneva dietro alla strofa. Ritornello inequivocabile, visto che ripetuto due volte suona:

E alalà,
l'Inglitterra la pagherà.

Proprio così: l'Inglitterra [sic, "ngli" e doppia tt] la pagherà.

Non ci dovrebbero essere più dubbi, diversamente basterà confrontare la strofetta torese con quella segnalata di recente da Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, a 191 chilometri da Toro, secondo Google Map. Le analogie sono lampanti, per quanto nel caso abruzzese è sparita l'invocazione alla Madonna, per lasciare spazio al dato meteorologico in atto: "Piove e fére lu sole" ovvero "Piove e splende il sole", che detto tra parentesi è anche il titolo di una stupenda lirica di Cesare De Titta (*). Questa dunque la parodia di Loreto:

Piove e fére lu sole
e Ciurcill ha ijte fore.
Ha ijte pi li cuticce,
e s'ha 'bbrusciate la paiaricce.

L'informatrice Anna Di Martile precisa di averla sentita canticchiare subito dopo la guerra e che li cuticce sono la spigolatura, che i poveri andavano a raccogliere nei campi dopo il raccolto. Precisa, inoltre e soprattutto, che la strofetta si riferiva di certo al primo ministro inglese Churchill.

Bene allora. Certo è che a Loreto Aprutino Churchill è chiamato per nome ed è trattato con minor bonomia rispetto a Toro. Lì era preso in giro nei panni di un contadino che si accinge a cogliere i pomodori, qui in quelli di un pezzente peraltro sfortunato che va per raccogliere la spiga e brucia il suo pagliericcio, ovvero il saccone ripieno di spoglie di granturco, che era anche uno dei simboli usuali della miseria, di chi non poteva permettersi il lusso di un materasso.

Ed eccolo, infine, l'anello che congiunge l'Abruzzo e Molise ruralissimo del pagliericcio al materasso cittadino di Napoli. Il quadro è completamente diverso, dall'immobilità agreste e dalle illusioni battagliere di una guerra impossibile siamo passati al vortice fantasmagorico della città già in mano alle truppe alleate: la Napoli milionaria delle signorine che fanno l'ammore coi marocchini, delle napoletane che fanno i figli "cu 'e ′mericane", la Napoli del "Damme 'o dollaro ca vaco ′e pressa, / Sinò vene 'a pulisse", insomma la citta povera ma effervescente del "Sigarette papà / Caramelle mammà, / Biscuit bambino / Dduie dollare 'e signurine", insomma quella che "Si nun era po contrabbando, / Ì' mò già stevo ′o campusanto". In attesa che "passasse 'a nuttate", in quel bailamme ubriaco, in quel frastuono perenne, anche Ciurcillo continuava a venire sfottuto, e questa volta insieme agli Alleati:

E Ciurcillo 'o viecchio pazzo
s'è arrubbato 'e matarazze
e ll'America pe' dispietto
ce ha sceppato 'e pile 'a pietto.

Come si vede, il contadino bonaccione di Toro, il povero pezzente di Loreto Aprutino, era finito degradato addirittura in un "vecchio e pazzo" ladro di materassi, sulla falsariga di una nota filastrocca sfrontatamente attribuita a Gabriele D'Annunzio, nella quale Carnevale s'era venduto il materasso per concedersi qualche povero bagordo a base di tarallucci, vino e cotechino. A Churchill non era stato concesso il lusso di venderseli i materassi, anzi era accusato di rubarseli, ragion per cui doveva subire le ritorsioni della moglie (l'America), stando alla strofetta accolta come le altre nella Tammuriata nera e inclusa dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare in Li Sarracini adorano lu sole (1974).

"L'America pe' dispietto / ce ha sceppato 'e pile 'a pietto". Altro tassello pronto per l'uso, estrapolato a sua volta da una canzonetta filoborbonica di ottant'anni prima. Altra epoca, altra guerra, altro nemico da sbeffeggiare. "Garibaldi è gghiuto 'a guerra / e ha avuto 'na palla 'mpietto / e 'a mugliera pe dispietto / l'ha scippato 'e pile 'a pietto" (Garibaldi è andato in guerra/ e ha avuto una palla in petto / e la moglie per dispetto/ gli ha strappato i peli dal petto) o anche, più surrealisticamente: "e 'a mugliera pe dispietto / s'è scippata 'e zizze 'a pietto (si è strappata le tette dal petto). Surrealismo per surrealismo e per la precisione, Garibaldi in verità la palla non la ebbe in petto ma nel molto meno eroico deretano. Proprio come l'antieroico premier inglese, che nella vignetta di Tirelli, dalla quale siamo partiti, nel poco nobile fondoschiena si era dovuto beccare un sommergibile.

______________________

    (*)
      Piove e ffére lu sole, e mmà gné ogge
      s’è vvistte, pe’ lu Colle de la Live,
      la cambagne accusciì ffiurite e vvive,
      tra lu véle settile de la piogge.

      Piove e ffére lu sole, e la culline
      piagne e rride tra l’ómbre che ccamine

      gna fa cavvote pe’ la tenerézze
      la faccia bbèlle de la ggiuvenézze.

      Piove e risplende il sole, e mai com’oggi / s’è vista, per il Colle de l’Ulivo, / la campagna così fiorita e viva, / sotto il velo sottile de la pioggia. // Piove e risplende il sole, e la collina / piange e ride tra l’ombra che cammina, // come talor fa per la tenerezza / la faccia bella de la giovinezza.
      (Cesare De Titta, Piove e ffére lu sole,in Terra d'oro, Carabba, Lanciano 1925).
Postato il Lunedì, 31 gennaio 2022 @ 23:00:00 di giovanni_mascia
 
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