Un po' di cotica (Toro che non c'è più)
Data: Saturday, 05 June 2010 @ 00:00:00
Argomento: Poesie e racconti


Il racconto di questa settimana appartiene al filone degli aneddoti aventi per protagonisti personaggi conosciuti in paese. Sull'esempio del caso di Leonardo, un bravo falegname, che non riusciva a trovare un cappello per la sua testa dalle dimensioni enormi.

Poi si scopre che la vicenda che si reputava accaduta a Toro, viene raccontata ovunque, naturalmente con altri protagonisti. Addirittura da un mostro sacro della letteratura come Andrea Camilleri (Leggi "Il cappello di Leonardo).



Stesso discorso vale per l'aneddoto odierno. Siamo in una bottega di un falegname torese. Perché no? proprio nella bottega dello stesso Leonardo. Oppure nella bottega di un Vincenzo o un Agostinello o un Antoniuccio D'Amico. A quel tempo, prima metà del Novecento, le botteghe dei falegnami, come quelle dei sarti, dei fabbri, degli scarpari, erano animate da molti aiutanti e piccoli discipuli che in tal modo facevano diverse cose buone. Prima di tutto spicciavano la casa ai genitori, poi se ne stavano ritirati, quindi si buscavano qualche soldo e, infine, se ci riuscivano imparavano un mestierie.

Si capisce che c'erano discipili e discipuli, dai più svegli ai più impacciati, per non parlare degli scemi veri e propri, che l'artiere per un motivo o per l'altro era costretto a ricettare nella poteca.

Con il beneplacito du mastre, o per sua iniziativa, gli scherzi e le prese in giro non mancavano. Un giorno mastro Leonardo (oppure fu mastro Vincenzo, o Agostinello o Antoniuccio, chissà) incaricò il più incapace dei ragazzotti che teneva a bottega di andare a bussare al portone di una non meglio ricordata signorina dei Trotta (o magari dei Magno).

Il ragazzotto andò, fece risuonare il battente e alla signorina che gli aveva aperto il portone, invitandolo a fare piano, disse:
- Signorì, ha ditt'u maste si i veléte mannà nettóne de tetetélle!
Incapace com'era a pronunciare la "c" di casa, tentava di spiegare alla signorina che il mastro le chiedeva se volesse mandargli un po' di cotichella. Che poi la cótica sarebbe servita per ungere la sega, era un dettaglio che il ragazzotto ignorava o aveva dimenticato e comunque non riferì. Naturalmente la donna non capì. L'altro ci riprovò:
- Nettóne de tetetélle!
- Non ti capisco. Spiegati meglio.
- 'A tetetélle.
- No, è inutile. Non ti capisco...

Il ragazzo insistette a farfugliare altre due o tre voltre la sua richiesta, mentre la donna continuava a non capire, finché spazientito le chiese:
- U tazze, u tapisce?

- Scostumato! Come ti permetti? Esci di casa mia!
Rossa in viso, la signorina dei Trotta (o forse dei Magno), richiuse con rabbia il portone alle spalle del piccolo svergognato, che se ne tornò di corsa in bottega.
- E ttazze! - si sfogò, ancora tutto affannato, cu mastre e con gli altri discipuli. - U tazze u tapisce e 'a tóteta nó!

O per dirla in italiano, con il proverbio che poi se ne è tratto dalla storia, per stigmatizzare chi intende solo quello che gli fa comodo intendere:- Il cazzo sì, e la cotica no!

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