Censura in paese (Toro che non c'è più)
Data: Saturday, 16 October 2010 @ 00:00:00
Argomento: Poesie e racconti


C’è stato un tempo, incredibile a dirsi, in cui nel nostro paese c’era la censura. Non come oggi in cui tranquillamente e serenamente il cittadino può dire e fare sapere ai quattro venti come la pensa su questo o quell’altro aspetto della vita in comune. Oppure può organizzare una festa, uno spettacolo, o un evento culturale senza ostacoli di nessun genere.


Banda e cassa armonica in Piazza del Piano
(Particolare di una processione, Anni Venti del secolo scorso?)


A quel tempo pure le mura avevano orecchie. E allora era meglio tacere perché il nemico ascoltava. A quel tempo non si era neppure liberi di ascoltare la musica che si gradiva ascoltare.

Anzi proprio la musica, certa musica, era considerata musica del nemico e quindi proibita. I toresi che avevano solo la banda per svagarsi e ne aspettavano il ritorno da una festa all’altra, e da un anno all’altro, erano costretti ad abbozzare pazientemente.

Musica del nemico, più delle altre, sembrava essere considerata il popolarissimo Capriccio italiano di Ciaikovski. Ma il fatto che si trattasse di una composizione del maestro russo, un conterraneo di Stalin non tragga in inganno. Mussolini e Stalin, fascismo e comunismo non c’entravano niente.

C’entravano, invece, le solite storie di paese.

Che il Capriccio Italiano sia una rapsodia di danze e canti popolari nostri è risaputo. Si sa pure che il tema principale è proprio un canto popolare assai in voga (il cui ritornello è: Mamma non vuole,/ papà nemmeno,/ come faremo a fare l’amor! ). Tanto che su questa aria si era “ricacciata” a Toro una canzone per immortalare la vicenda scabrosa di una Trisinella, ma poteva essere stata anche una Rosinella o Mariettella o Annarella o Pippinella o ‘Ncurnatella., insomma una torese qualsiasi che aveva perso l’onore nella vigna.

E proprio nelle campagne, allora popolatissime, da un campo di grano all’altro, da un orto all’altro, da una vigna all’altro, da un piede di ulivo all’altro, frotte di donne intonavano con gran gusto la canzone di scherno che iniziava con la frase, ripetuta due volte:

E l’uva è fatta matura, o Trisinella!

La canzone era assai di moda, dunque. Tale sarebbe rimasta per anni. Almeno fino a quando un’altra poveretta non sarebbe venuta a prendere il posto di Trisinella nell’immaginario popolare.

Assai di moda sì, però che la intonasse anche la banda, con il rischio che l’intera Piazza del Piano si accodasse e si mettesse a cantarlo in coro la sera di Sant’Antonio o peggio la sera di San Mercurio, questo le varie commissioni dei festeggiamenti non potevano accettarlo. Sarebbe stato troppo. Perciò per anni e anni, il Capriccio italiano di Ciaikovski è rimasto proibito a Toro per rispetto della sfortunata Trisinella e dei suoi familiari.



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