Quando nacque il mio terzo fratello (Toro che non c'è più)
Data: Thursday, 07 April 2011 @ 10:59:11 Argomento: Poesie e racconti
A oltre mezzo secolo di distanza, la suggestiva rievocazione della nascita del fratello più piccolo, il corteo del battesimo, il rinfresco, il vincolo del San Giovanni, le cure sommarie, l'asilo infantile, le scuole elementari...
In campagna con la culla in testa, sferruzzando e portandosi dietro la capra Forli del Sannio 1027, Foto A. Trombetta
Quando nacque il mio terzo fratello ricordo il via vai della levatrice, con i suoi semplici attrezzi, per aiutare la mamma a partorire. Il bimbo venne amorevolmente fasciato in tutto il suo corpicino, per farlo crescere "diritto", gli fu fatto "'u rabbuglie", cioè venne avvolto in una lunghissima fascia, con le mani dentro per proteggerlo dal freddo, e gli venne posta in testa 'a cuppelella.
Era d’obbligo, allora, mettergli il nome di uno dei nonni e di
li a qualche giorno battezzarlo, perché la sua gracilità era preoccupante. Fu condotto processionalmente in chiesa una domenica sera, per il rituale che si teneva in una funzione a parte presso l’antico fonte battesimale posto nella cappella di S.
Michele.
Il corteo era formato dalla madrina che portava il neonato vestito
di bianco; dietro la"comare" seguivano il padrino, la levatrice, e alcuni
parenti con uno stuolo di ragazzi festanti. Ricordo mia cugina, a capo del
corteo, che portava la giara d’acqua con la fetta di pane sopra, come era in
uso allora. Mio padre, durante la veloce somministrazione del sacramento
aspettò fuori dalla chiesa, mia madre restò invece a casa, poiché si credeva
che la loro presenza non fosse di buon auspicio durante quel rito.
Dopo il battesimo si dette un rinfresco a casa del neonato, con rosolio,
caffè, biscotti e la "pizza dolce". Ci si teneva molto, anche i più poveri
cercavano di festeggiare il lieto evento in qualche maniera coinvolgendo i
vicini. I padrini ragalarono al battezzato una catenina d’oro.
Dopo il rinfresco si ballò con un semplice organetto, trattenendoci fino a
tardi.
Nelle ricorrenze di Natale e di Pasqua, i miei mandavano ai compari sempre un
regalo : un pollo, un coniglio o un gallo, per tenere stretto il vincolo del
“San Giovanni” . Vincolo che si mantenne stretto finchè non emigrarono entrambi
i padrini per l'America da dove, immancabilmente, inviavano per il compleanno del
figlioccio dieci dollari.
Dopo lo slattamento, e fino ai tre o quattro anni, ricordo mio fratello con
una calzamaglia di lana, fatta dalla nonna, con un foro anteriore e uno
posteriore per dar libero sfogo alle sue esigenze corporali, che spesso
lo portavano a imbrattare il pavimento di cotto. I genitori erano intenti ai lavori nei campi
e spesso il bimbo veniva lasciato in cura dai vicini, ma la loro cura era
minima, appena uno sguardo fugace finchè non cadesse giù per la “cataratta”.
Ricordo la mamma che, per recarsi in campagna, e aiutare papà nei
lavori dei campi , non potendo lasciare il piccolo a casa, lo adagiava nella
culla e con la culla in testa trascinava capre e pecore, finchè giunta al
podere, collocava la culla al fresco sotto la grande quercia.
Mio fratello fino ai quattro anni era ancora legato alla mamma e
all'ambiente familiare, poi fu mandato all’asilo delle suore dove mangiava la
refezione offerta dalle suore, ed era costretto poi, suo malgrado, a
dormire nel pomeriggio poggiando la testa sui duri tavolinetti bianchi, nel chiuso del salone posto sotto il municipio. Era un supplizio per i ragazzi subire il forzato
riposino per consentire alle suore di poter ricamare in tranquillità sull’ampio
terrazzo che dominava la valle del Tappino. Altro supplizio era quello di
essere costretti a bere l’acqua dai bicchieri grezzi di alluminio in rassegna, uno dopo l'altro volenti o no, come l’obbligo di recarsi in fila indiana nel piccolo cesso della loggia, che emanava miasmi insopportabili.
Fattosi più grande, varcò l'austero portone del Municipio, dove erano allogate le scuole elementare, con i balconi delle aule che si affacciavano sul sottostante terrazzo delle suore. Lì non c'erano cessi, ma durante l'intervallo e all'occorenza si usciva per raggiungere le stalle, gli orti, e i viottoli di campagna del Grottone.
Vincenzo Colledanchise
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