Un santo dimenticato nel convento di Toro: Isidoro l'Agricoltore
Data: Thursday, 15 May 2014 @ 10:45:28 Argomento: Arte, artisti e artigiani toresi
Oggi, 15 maggio, la chiesa festeggia Sant'Isidoro l'Agricoltore, santo spagnolo, patrono dei contadini e patrono di Madrid. In Molise, chi vuol pregarlo e impetrare un buon raccolto - suggerisce Franco Valente dalla sua pagina personale su Facebook - venga a Toro. Dove, aggiungiamo noi, è raffigurato in un quadro seicentesco assai interessante: una delle perle di cui è ricco il nostro convento, con Santa Teresa d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio e San Filippo Neri, tutti canonizzati insieme a lui nel 1622.
Autore Ignoto, La pietà, tra i santi Agostino e Giovanni Battista e, in basso, i Cinque Santi, Olio su tela, 1630 circa, (320x212), Toro, Chiesa del Convento di Santa Maria di Loreto
Sant'Isidoro è raffigurato nell'atto miracoloso di far zampillare l'acqua dal terreno percosso con un lungo bastone
Alla segnalazione e alle foto di Franco Valente sia permesso di aggiungere qualche scarna informazione. A cominciare da una descrizione sommaria del quadro, desunta dall'inventario delle opere d'arte presenti nella chiesa del convento di Toro, redatto il 10 febbraio 1840 dal sindaco Domenico Trotta.
"Quadro a tela lungo palmi dodici, largo otto, in cui è dipinta l’immagine della Madonna della Pietà col figlio tra le braccia, a fianco S. Giovanni Battista, e S. Agostino, con serafini d’intorno e con vari stromenti della passione. Tutti veggonsi poggiati sopra nubi. Al di sotto vi sono dipinti S. Filippo Neri, S. Teresa, S. Ignazio Lojola, San Francesco Saverio, e S. Isidoro. Sotto vi è il ritratto del quondam D. Antonio Antonacci fondatore della Cappella".(Giovanni Mascia, Affreschi per il papa, Arte, fede e Storia nel chiostro e nel convento di Toro, Campobasso 2008, p. 33)
Tralasciando la parte superiore del quadro, che merita una indagine a sé sulla quale speriamo di ritornare, restiamo sul gruppo dei Cinque Santi, tutti spagnoli ad eccezione di San Filippo Neri, e tutti canonizzati in San Pietro il 12 marzo del 1622, quando per la prima volta la chiesa proclamò cinque santi contemporaneamente. Fu un avvenimento che fece epoca, e che siamo sicuri sarà rievocato assai degnamente da qui a qualche anno in occasione del prossimo quarto centenario, se come si spera sul trono di San Pietro ci sarà ancora papa Francesco, gesuita, devoto e assai legato ai "maggiori sui" della Compagnia di Gesù: Ignazio e Francesco Saverio, fondatore il primo e grande evangelizzatore e patrono delle Missioni il secondo.
Gregorio XV - Medaglia commemorativa della canonizzazione dei Cinque Santi (1622)
Coerente con la canonizzazione è il riferimento a D. Antonio Antonacci. Del notaio Antonacci, l'Archivio di Stato di Campobasso conserva in sette buste i repertori che vanno dall'anno 1596 al 1633, ma fu attivo anche dopo tale data. Tra l'altro era a capo dell'amministrazione comunale di Toro con il titolo di Giudice (attuale sindaco) nel 1629/1630. In questa veste compare in un atto stilato il 9 settembre 1629 dal notaio Giacomo Nazario pure di Toro. Se è proprio Antonio Antonacci, come afferma il Trotta, il committente effigiato ai piedi dei Cinque Santi, allora la datazione dell'opera va ricondotta alla prima metà del Seicento, e probabilmente a distanza temporale non eccessiva della multipla canonizzazione. A suffragare questa ipotesi, la circostanza che impose all'ignoto artista di annotare il nome ai piedi di ognuno dei cinque santi, la cui iconografia era ancora sconosciuta essendo stati da poco canonizzati. Nell'ordine, da sinistra: Teresa, Ignazio, Isidoro, Francesco Saverio e Filippo Neri. E che non può essere andata altrimenti lo prova anche il fatto che la famiglia Antonacci venne ad estinguersi con la morte del notaio, avvenuta il 23 novembre del 1640. Cosa che non ha impedito al cognome di sopravvivere nel toponimo "Piana Antonacci" (in dialetto contratto in Chiantenacce), con il quale ancora oggi è designata la popolare contrada posta al di là del Tappino.
Antonio Antonacci, ritratto a mani giunte, è il committente del quadro e - secondo Domenico Trotta - anche il fondatore della Cappella (della Pietà?, dei Cinque Santi?)
In riferimento a Sant'Isidoro, patrono degli agricoltori, ci limitiamo a ricordare che a lui è dedicato il primo mistero della sfilata campobassana del Corpus Domini, altrimenti detto della Face. Come nel quadro di Toro, il Santo, contadino al servizio del Cavaliere spagnolo Giovanni de Vergas, è raffigurato nell'atto di percuotere il terreno con un bastone per farne scaturire acqua e in tal modo placare la sete (fisica e spirituale) del suo padrone.
Sant’Isidore figlie de la Spagna
prutiegge le cafune e la campagna,
batte la terra mè che su bastone
arijgneme la votte e lu cascione.
(Sant’Isidoro figlio della Spagna / proteggi i contadini e la campagna, / dissoda la terra mia con quel bastone / riempimi la botte e il cassone.)
Così è invocato il Santo in una poesia di Michele Buldrini sui Misteri campobassani, pubblicata in Arnaldo Brunale, Campuasciane Assèlute – Dialetto, Campobasso 2007.
Ritornando a Toro, a parte il quadro del Convento, non rimane nessuna traccia, ammesso che ce ne sia mai stata una, di un culto popolare per il Santo. Il cui nome ha goduto di scarsa fortuna in paese, dove in passato è comparso sporadicamente qualche Isidoro (Cutrone, Marcucci, Simonelli...), e ancora più sporadicamente, per esempio nella famiglia Quicquaro, si è rinnovato nei discendenti, in omaggio alla figura del sacerdote Isidoro Quicquaro scomparso a 71 anni nel 1797.
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