Quando dalle porte sparirono tutte le chiavi (Toro che non c'è piu)
Data: Wednesday, 18 June 2014 @ 00:00:00
Argomento: Poesie e racconti


Qualche mese fa, davanti alla preoccupante ondata di furti in atto, un comandante dei Carabinieri suggerì alla popolazione torese di abbandonare l’antica usanza e di non lasciare più le chiavi inserite nella serratura della porta di casa. La raccomandazione fu del tutto inutile: sono ormai decenni che questa abitudine è scomparsa. Magari anche per merito (o per colpa) di due ragazzotti che giusto mezzo secolo fa la combinarono davvero bella.


Un tipico portone torese: casa D'Amico in Rua Petrucci



Era così diffuso l'uso di lasciare la chiave nella toppa, che in alcuni casi,
come si vede in questo dettaglio della porta di casa D'Amico, c'erano due toppe:
una con la chiave fissa (
u chiavjne), addirittura saldata al saliscendi,
mentre l'altra si utilizzava per serrare la casa solo se i proprietari se ne allontanavano.



Il mio più caro cugino di San Severo, più caro perché eravamo quasi coetanei, avevamo otto e nove anni allora, si trovava a Toro e insieme bighellonavamo per le strade quasi deserte del paese. Lui si meravigliava assai del fatto che quasi tutte le porte delle case avessero le chiavi attaccate alla serratura e, quando espresse l'idea di rimediare chiudendo le porte, tutte le porte, io lo assecondai e così ci mettemmo all'opera.

Casa dopo casa, stradina dopo stradina, non sapevamo più dove mettere le chiavi: tasche, taschini, mani ricolme, poi portammo tutta quella roba dallo zio di mio cugino in caserma, cioè da mio padre.

Intanto i miei compaesani cominciavano a tornare dai campi, che allora ancora si lavoravano spesso a mano, le donne per preparare la cena, ma mezzo paese rimase chiuso fuori casa. Ci si preoccupava, cresceva il subbuglio finché si sparse la voce che le chiavi stavano in caserma, quella vecchia, dove poi c'è stata l'edicola e che dal terremoto è inagibile.

Di sottecchi guardavo mio padre e il suo collega che le avevano depositate sulla scrivania del comandante della Stazione. Ricordo che era completamente ingombra di chiavi di tutte le forme e grandezze. I proprietari si assiepavano, riconoscevano la propria, la prendevano e se ne andavano, non senza aver lanciato un'occhiata a me e al mio cuginetto che ce ne stavamo in un angolo taciturni.

Pensavo tra me che quella sera le avremmo prese. Invece, grazie all'ironia e alla comprensione dei toresi, ci andò bene: la cosa fu presa come un divertente diversivo. Ricordo che i commenti non furono mai cattivi e neanche sarcastici, bensì arguti. Però durante la cena arrivò la lavata di testa, ma a quell'età e, soprattutto per quei tempi, ora è mezzo secolo!, la scampammo proprio bella.

Carlo D’Auder





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