Serata di successo per Leo Quartieri, musica jazz e racconti brevi
Data: Sunday, 09 November 2014 @ 00:00:00
Argomento: Arte, artisti e artigiani toresi


Una serata speciale e molto originale. Letteratura, teatro, pittura e musica jazz. Un cocktail davvero entusiasmante per presentare nel migliore dei modi la raccolta di Racconti brevi di Leo Quartieri. Una manifestazione fuori dagli schemi che Il folto pubblico intervenuto ha mostrato di apprezzare e gradire molto.




Giovedì, 6 novembre 2014, ore 18,30, presso l'Auditorium dell'ex Gil a Campobasso, è andata in scena la presentazione-concerto dei Racconti brevi di Leo Quartieri. il noto musicista di origini toresi (contrabassista e insegnante, nonché direttore artistico delle prime due edizioni del Toquinho Toro Festival e dei concorsi chitarristici collegati).


Giovanni Mascia


Il compito di aprire la serata è stato affidato a Giovanni Mascia, il quale ha firmato la prefazione del libro e illustrato le caratteristiche dei racconti e le possibili motivazioni che hanno spinto l'autore a mettere da parte pentragramma e contrabbasso per sperimentare la strada della scrittura (leggi più avanti il suo intervento: Leo Quartieri musica jazz e racconti brevi).


Diego Florio, attore


A seguire, il bravissimo attore Diego Florio ha letto alcuni brani significativi dei racconti, mentre alle sue spalle venivano proiettate le tavole che Martin Quartieri ha ideato e dipinto per illustrare Lo sciopero degli zampognari, Umori e rumori, Il viaggio e L'albero della lungimiranza.


Martin Quartieri, illustratore del libro


Alle performance teatrali di Diego Florio e pittoriche di Martin Quartieri, che è autore anche della copertina, si sono succedute di volta in volta le performance musicali del quintetto di Leo Quartieri, formato, oltre al leader contrabbassista, da Sergio Casale (sax tenore e soprano), Marco Borghetti (vibrafono e percussioni) e dai giovanissimi Paolo Petrecca (tromba e flicorno) e Giuseppe Venditti (batteria).. In programma composizioni suggestive e coinvolgenti dello stesso Quartieri che al termine della presentazione-concerto ha ringraziato i presenti e tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita della bellissima serata..



Leo Quartieri, autore del libro e leader del quintetto jazz



Sergio Casale, sax alto e sax tenore



Marco Borghetti, vibrafono e percussioni



Paolo Petrecca, tromba e flicorno



Giuseppe Venditti, batteria


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Leo Quartieri, musica e racconti brevi
intervento di di Giovanni Mascia

Leo Quartieri, che pubblica un libro, un piccolo libro, di racconti? Il primo moto di reazione è stato di sorpresa. Compositore e insegnante di musica, strumentista e leader di band, creatore di eventi (l’Eddy Lang Jazz Festival per fare un solo esempio), con una carriera ultratrentennale che lo ha portato a suonare con musicisti di grido ai quattro angoli del mondo, fin qui non aveva dato manifestazione di sintomi preoccupanti. Lo si riteneva immune dalla passione letteraria e invece com’è stato possibile che, tralasciati i suoi specifici canali comunicativi, il pentagramma e le corde del contrabbasso, sia passato alla scrittura?

Allora non è vera, almeno non sempre, la profezia in gran voga a cavallo tra Otto e Novecento e cioè che tutte le arti tendono a farsi musica. Non è vero, per esempio, che i pittori smetteranno di raffigurare la realtà o gli eventi veri o presunti, per trattare i segni e i colori come note. Né che i narratori smetteranno di raccontare, i poeti di scandagliare nel proprio io, per fare musica con le parole o se si vuole rumore (si pensi ai futuristi). Non è vero, se può accadere anche il contrario. Cioè che un musicista abbia rinunciato, si capisce momentaneamente, ai suoni, al ritmo, all’armonia, e si sia affidato alla parola per raccontare e intrattenere.

Secondo scatto di reazione: capire perché o per cosa questo è successo. Com’è ovvio, non conviene chiedere conto all’autore. Gli autori di norma lo ignorano e, per troppa vicinanza al soggetto, cioè a se stessi, finiscono per non avere ben chiari i termini del discorso. Conviene chiederlo direttamente all’opera, nel caso nostro ai quattro racconti brevi della raccolta, impreziositi dai disegni di Martin Quartieri in copertina e nel testo. Conviene cercare tra le pieghe delle pagine le motivazioni che hanno il musicista a scrivere e pubblicare. In tal modo si appaga anche il terzo moto di reazione: che è di curiosità su cosa Leo abbia scritto e in che modo.

Un buon indizio è dato dall’epigrafe, indirizzata ai figli, ai quali la plaquette è dedicata, e ai lettori. “Il mondo dove vivo” – confessa Leo – “è un altro. Spero che un giorno questo gli somigli molto, perché il mio è meraviglioso”.

Ecco, sembrerebbe immediatamente chiaro il senso del libro: raccontare del mondo della propria anima. A darne testimonianza Quartieri chiama quattro musicisti. Quattro racconti, quattro protagonisti, e tutti e quattro cittadini di quel mondo meraviglioso, che in qualche modo si sovrappone e circoscrive al Molise di paesi sparsi tra “monti e colline lontani”, dove “la vita dava la possibilità di guardare con più serenità e pacatezza allo scorrere quotidiano del tempo”.

Il primo testimone è un uno zampognaro, epigono di una tradizione costretta a fare i conti con una società, che non sa più che farsene di tradizioni ancestrali. Così, dopo trent’anni di attività, culminata anno dopo anno nella novena natalizia tra le strade eleganti della capitale, lo zampognaro architetta insieme all’amico suonatore di ciaramella un piano di azione contro la realtà “indifferente e crudele” di oggi. Purtroppo per lui, o meglio per fortuna, il piano fallisce miseramente e il protagonista impara a proprie spese, e l’amico con lui, e noi con loro, che non si sconfiggono l’indifferenza e la crudeltà della società moderna con modi di fare altrettanto indifferenti e crudeli. Gli toccherà, perciò, continuare a suonare e vivere come ha sempre suonato e vissuto, con passione e compassione.

È lo stesso autore, costretto tempo addietro da coliche e febbri alte e perniciose a trattenersi in ospedale per circa un mese, a vivere e registrare gli umori e i rumori che danno il titolo al secondo racconto. La cronaca umoristica della lunga e comunque penosa degenza, iniziata la sera di un memorabile Natale, finisce per diventare un vero e proprio inno alla musica. Il concerto, pregustato, concepito e allestito dal paziente musicista e dagli amici reclutati per l’occasione, rende meno amaro il Capodanno degli ammalati. Il ritmo sghembo, tipico della camminata dei medici, e quello incessante e ossessivo della goccia che cade nella flebo, lo aiutano nella stesura di una nuova composizione che prende vita, a nota a nota, sul foglio pentagrammato: opera musicale e al tempo stesso pittorica, per la dignità estetica del pesante foglio color paglierino, affollato di fregi e note impresse a matita. L’angoscia di giorni immobili e interminabili, oramai retrocessi al rango di ricordi, è alleggerita dalla compagnia, ideale si capisce, ma non per questo meno efficace, dei giganti della musica, dell’arte e del bello della vita, capeggiati da Louis Armstrong. Dal quale, e lo leggerete, a Leo è derivata una misteriosa e invisibile voglia di jazz che, diversamente dalle comuni voglie di fragola o lampone, si porta dalla nascita stampata nell’animo, anziché sulla pelle.

Il terzo testimone, che Leo Quartieri convoca per raccontare del suo mondo meraviglioso, è un musicante di paese, un anziano suonatore di clarinetto come ce ne sono stati tanti a Toro (patria di origine dell’autore), e altrove in Molise, quando le fonti e le occasioni per ascoltare musica erano così rare, che tanto valeva prodursela da sé. Fiorivano allora e sfiorivano, stagione dopo stagione, le numerose bande cittadine, la cui sorte fu segnata in via provvisoria dalle emigrazioni transoceaniche a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento e, definitivamente, dalle rinnovate ondate migratore successive alla fine della Seconda Guerra mondiale. È significativo che sia stato un disco del tutto avulso dall’ambiente, un disco jazz di John Coltrane, ricevuto in dono da uno zio italoamericano, a segnare la modesta vicenda umana di Giuseppe Mastrantuono, l’umile ma non incolto rappresentante della classe degli “artieri”, gli artigiani molisani dei tempi andati, che con il suo passo claudicante, retaggio della poliomelite infantile, e lo zainetto pieno di sogni, ricordi e rassegnazione, si avvia incontro al figlio trapiantato a Roma.

L’autore non lo segue, preferisce restare in Molise, “terra semplice ma di grande bellezza, ricca di storia e di leggende”, in una piccola comunità, magari la medesima comunità di Toro, che beneficiò nei tempi andati de L’albero della lungimiranza, stando al titolo del quarto e ultimo racconto della raccolta: una leggenda allegorica. Non importa se l’allegoria non riscuote più successo presso i lettori di oggi. Da buon musicista, Quartieri sa bene che il linguaggio non esaurisce l’espressione della realtà e che un simbolo più che un discorso articolato può cogliere meglio l’essenza delle cose. È la leggenda amara di un albero piantato da un maestro di vita e diventato l’anima e la speranza di una comunità, che prospera all’ombra dei suoi rami... Finché nuovi amministratori, con la prepotenza dell’ignoranza, non lo tagliano, e con esso il passato, il presente e il futuro del paese. Sono mossi solo dalla vanagloria di sostituirlo con un albero scelto da loro. Con il legno dell’albero reciso, un amico liutaio costruisce un ottimo contrabbasso per il musicista, oramai con i capelli bianchi. Altri ragazzi come lui, vissuti all’ombra dell’albero, hanno i capelli bianchi. Sono in pochi, non per questo rinunciano a vivere e a sognare. A esistere, proiettati verso un mondo bello, con sfumature, odori e colori, che può cogliere solo chi non è chiuso in se stesso e nel proprio egoismo.

Sparse tra le righe dei quattro racconti, come rocche molisane tra i monti e le colline lontane, Leo Quartieri ha inserito una serie di riflessioni sulla musica e sulla vita. Come i racconti, nascono anch’esse dal confronto tra il mondo che il musicista ha davanti agli occhi e il mondo che ha nel cuore.

concludere. Anno più anno meno, un secolo fa i poeti molisani scoprirono il dialetto, in ritardo rispetto ai colleghi del resto d’Italia . E lo scoprirono per il tramite dei canti popolari. Ancora una volta, dunque musica e poesia, musica e letteratura. Non per nulla, Eugenio Cirese che fu l’antesignano e resta il migliore di loro, pubblicò nel 1910 la racconta “Canti popolari e sonetti nel dialetto molisano”. Lui e gli altri, dopo lui, si posero il problema di come trascrivere il dialetto. Cirese scelse di italianizzarne le forme più ostiche. Il senatore e accademico d’Italia Francesco D’Ovidio, nume tutelare della cultura del tempo, raccomandava invece (per non dire comandava) di essere più scrupolosi, stando attenti a tutte le sfumature dei dialetti, paese per paese e, addirittura quartiere per quartiere. Accettato da alcuni, per esempio Giuseppe Altobello, D’Ovidio fu molto cordialmente mandato a quel paese da Luigi Antonio Trofa da Ferrazzano, con versi, affidati a un messaggero ideale, incaricato di recapitarli a tanto professore. Scriveva Trofa:

Dille ca scrive come me vè 'n cape
senza sbrafunaria e nné superbia
comme ru core me sa cummannà.
Se parle che la lenga de tatiile
jè proprie perché certe cusarelle
ze puonne raccuntà sule accuscì…

L’ho ricordato, non per riproporre vecchie questioni, ma proprio per dire che anche Leo Quartieri, contraendo il virus letterario, aveva “certe cusarelle” da raccontare, anche qualche vreccella da togliersi dalle scarpe. E per farlo non poteva che usare uno strumento tradizionale, popolare come il racconto. Perché non è vero quello che aggiungeva Trofa, contraddicendosi, e cioè, che

La museca chiù belle, la chiù fina
è sempre chella… o che nu pianeforte
o che ’na scuscenate d’ucarina.

Non è vero. Se “certe cusarelle/ ze puonne raccuntà sule accuscì…”, ce ne saranno altre che si potranno raccontare solo in altro modo. Analogamente, accanto a musiche concepite per essere suonate al pianoforte, ce ne saranno altre che rendono meglio con un’ocarina. Per venire a noi: ci sono musiche che esigono di essere suonate e ascoltate come tali (e Leo e il suo quintetto le suonerà e ce le farà ascoltare anche questa sera) e “musiche” che preferiscono essere affidate alla pagina per essere lette. Musiche anch’esse. O racconti brevi.





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