Terremoti e culto della personalità nelle lapidi della chiesa di Toro/ 4
Data: Sunday, 08 March 2015 @ 00:00:00
Argomento: Monumenti


Quarta puntata. La lapide del campanile (1893). Simbolo di Toro, orgoglio e richiamo nostalgico di ogni torese che si rispetti, il campanile crollò anch’esso, come la chiesa e come tutto il paese, a causa del terremoto del 1805. Per vederlo ricostruito nelle magnifiche proporzioni attuali, i nostri antenati hanno dovuto attendere quasi un secolo. Per quasi un secolo si sono dovuti accontentare di un campanile mozzo.

Come già raccontato, la ricostruzione del rustico della chiesa madre fu portata a termine solo nel 1828. I decenni successivi videro all’opera le maestranze per la realizzazione degli intonaci, degli stucchi e delle decorazioni convenienti. Nel 1885 fu realizzata la monumentale scalinata di accesso. Restava da risolvere il problema del campanile, che i lavori assegnati a Francesco Fagnani per il rifacimento di tutta la chiesa avevano lasciato fermo a metà altezza,



Ecco come poteva apparire il campanile mozzo così come ricostruito da Fagnani dopo il crollo del 1805
Nostra elaborazione su una foto di Peppino Garzone del 1990 circa (vedi foto sottostante),
dove sono ben visibili i segni dei due finestroni preesistenti



C’è un proverbio torese molto diffuso. Di chi non sa bene valutare i termini di un problema, e dà peso eccessivo a circostanze secondarie e, al contrario, sottovaluta quelle principali, si dice che “Fa chiù àvete a chiisie c’u campanare”, (Fa più alta la chiesa che il campanile). Ebbene per quasi tutto l’Ottocento questa contraddizione in termini era la norma a Toro. Il tetto della chiesa sovrastava quello del campanile, con grave disdoro per i paesani, costretti a subire i dileggi degli abitanti dei comuni vicini per quel “mezzóne de campanare”, (mozzicone di campanile).

Ciò nonostante “‘a meréje du campanare”, (l’ombra del campanile), restava sempre piacevole e ammaliatrice, per la popolazione, che allora come anche oggi si fermava volentieri a riposare e a prendere il fresco “ncoppe u merjlle du varvacane” (sul muretto che a mo’ di sedile cinge la base del Barbacane).

E non solo la povera gente. Del fascino incantatore del nostro campanile (e di quell’abbozzo di campanile!), si fa parola in una lettera che il 28 dicembre del 1842, Martinagelo De Martino il famoso avvocato torese del foro di Napoli, indirizza al cugino Domenico Trotta. Martinangelo, confida a Domenico la speranza che Don Mercurio Salvatore, un neolaureato torese che tanti grattacapi aveva dato alla famiglia, finisca per stabilirsi a Napoli [come poi in effetti farà, n.d.r.] “e non resti, come paventato, dopo un corso così complicato di studi, a rimirare un tronco di campanile a Toro”.

A parte il disdoro urbano e gli sfottò dei forestieri, il campanile lasciato a metà costituiva un problema di qualche rilevanza per la popolazione, che nella pressoché assoluta mancanza di orologi, scandiva le ore delle proprie giornate sui rintocchi delle campane. In casa e in campagna. Non i rintocchi dell’orologio del campanile che ancora non era stato installato, ma delle campane che annunciavano le ore canoniche: Mattutino, Mezzogiorno, Ventun’ora, L’Ave Maria (a Toro U Patrenustre) e l’Ora di notte. A parte si capisce l’annunzio delle varie funzioni religiose e il tocco funebre per i defunti.



il tratteggio in rosso all'altezza dell'orologio segnala lo scarto evidente nella qualità della muratura,
visibile anche nella sottostante foto del 1903: era lì che arrivava il tetto del campanile incompleto.
La cella campanaria era allora chiusa da due lati, e poteva avere solo due finestroni:
uno si apriva sul lato ovest dove si notano bene l'arco in mattoni e le pietre di riempimento
l'altro sul lato nord, dove ora sono sistemati la finestrella, lo stemma settecentesco e la lapide del 1893



Purtroppo le campane ridotte in due finestre che nell’abbozzo di torre erano relegate in un angolo del complesso ecclesiastico, non svolgevano appieno la loro funzione ed erano scarsamente percepibili in gran parte dell’abitato e dell’agro a valle della chiesa. Che non sia un’esagerazione lo prova una circostanza verificabile ancora oggi. Pur dalla rispettabilissima altezza del campanile attuale (ventitré metri e settanta centimetri, a parte il sottostante torrione, i rintocchi non sono avvertiti in alcune zone dell’abitato, come il tratto che va da Calata San Rocco a via dell’Ospedale. Da lì non si sentono neppure i più potenti scampanii che accompagnano le processioni, che invece si sentono rimbombare per tutto l’agro e finanche nei comuni vicini.

Per veder restituito il dovuto decoro al complesso ecclesiastico e al paese tutto, e la piena funzionalità alla torre campanaria si dovette aspettare la fine dell’Ottocento. Era occorso circa un secolo per la ricostruzione del campanile mozzo. I lavori furono realizzati dalla ditta Pollice, su progetto dell'Ing. Castelli. (Per i dettagli, si veda la documentazione conservata presso l'Archivio di Stato di Campobasso, Fondo Genio Civile, II, busta 831, Toro f. A 1588).
Sulla parete nord fu apposta la seguente iscrizione:

QUESTO CAMPANILE
RIMASTO PER OTTANTANOVE ANNI INTERROTTO
IL COMUNE
A GLORIA DI DIO
A BENEFICIO E ORNAMENTO DEL PAESE
COMPÌ IL 1893.


Come nei casi descritti nelle puntate precedenti, siamo ancora una volta davanti a una lapide esemplare. Con ogni probabilità fu dettata dallo stesso sindaco, ancora in carica, che otto anni prima aveva dettato la lapide della scalinata. Obbedisce alle stesse istanze dell'altra: da buon cattolico piega il ginocchio davanti a Dio, a cui va la gloria, non agli uomini. E infatti non dà nessuna visibilità a se stesso e nemmeno alla sua amministrazione comunale: è il Comune (amministratori e popolo tutto) ad aver portato a termine l’opera che, come abbiamo cercato di dimostrare fin qui, tornava a beneficio della popolazione e a ornamento del paese.



Dettaglio fortemente ingrandito di una foto del 1903 che mostra il campanile nelle dimensioni attuali.
Ben visibile nella differenza di grigio originale, la sopraelevazione realizzata nel 1893,
Il tetto a terrazzo è sormontato dalla campana delle ore collegata all'orologio, non molto visibile ma già montato



Sempre sulla stessa facciata, fu sistemato l'orologio, comperato e installato per l'occasione. Al disopra della lapide, infine, era ed è murato lo stemma comunale in pietra. È del XVIII secolo e presenta in campo ovale, un toro e un leone affrontati, con le zampe posteriori poggiate su quattro colli; il tutto sormontato da tre stelle. Sancisce il patronato comunale sul campanile, mentre la chiesa è giuridicamente, ma solo giuridicamente di patronato ecclesiastico, essendo stata ricostruita, come abbiamo visto, con il sangue e il sudore e gli averi di tutta la popolazione torese.



Campanile facciata nord, Stemma comunale e lapide del 1893 (Foto S. Nazzario)




(Continua)
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- Clicca e leggi la prima puntata: "Il cartiglio secentesco collegato al terremoto del 1688"
- Clicca e leggi la seconda puntata: "La lapide del portale che ricorda il terremoto del 26 luglio 1805"
- Clicca e leggi la terza puntata: "La lapide della scalinata di accesso 1885""

Foto Peppino Garzone, Sandro Nazzario, e foto d'epoca



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