Due tragici annegamenti nella chiata del Ponte di Toro.
Data: Thursday, 20 August 2015 @ 17:45:00
Argomento: Poesie e racconti


Una decina di giorni fa, commentando le foto e l'inno alla Chiata Senzasangue, l’amico l'ingegnere Antonio Lamenta di Campodipietra ipotizzava una curiosa etimologia. Secondo lui, il nome Senzasangue, le sarebbe derivato dal fatto che non vi era mai annegato nessuno, diversamente dalla Chiata del Ponte dove erano annegate molte persone. “Senza sangue”, quindi perché non insanguinata come l’altra.


Toro. Anni Quaranta del Novecento. Ragazzi toresi al bagno nella Chiata del Ponte
Si riconoscono DIomede Ciaccia, in piedi col costume nero, Nicola Lamenta (in piedi accanto a lui)
e Peppino Iosue (Pilliccione)
con la chitarra




Toro, Anni Ottanta del Novecento, Pecore al pascolo al Ponte di Toro.
Questa, a un dipresso, la scena che si presentò a Carabinieri e curiosi in occasione della morte di Vincenzo Bruno (Fentanare)




Toro, Primi Anni Cinquanta del Novecento. La famosa masseria Barbaroscia, a ridosso del ponte.
Toro è sul cocuzzolo


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          La versione di Stefano Di Criscio, alias Barbaroscia..

          Sostanzialmente concorde la versione di Stefano, il quale aggiunge dei particolari assai coloriti e interessanti.

          Per esempio, Trappolino che si spogliò per tentare di recuperare l'annegato nella chiata del Ponte, non rimase in mutande, visto che di mutande non ne aveva, ma la camicia che portava si allungò fino alle ginocchia per essere anche una camicia da notte. Dopo di che Trappolino la legò in qualche modo attorno alle gambe. Così la corda, alla quale si fece legare, oltre a dare sicurezza a lui che non sapeva nuotare dava sicurezza anche ai presenti, cui sarebbe stato risparmiato lo spettacolo delle sue pudenda affioranti tra le falde svolazzanti della camicia.

          Neppure Stefano, pronto a scendere in acqua, aveva le mutandine e la circostanza era piuttosto seria, visto che era il solo a saper nuotare e senza mutande non avrebbe potuto scendere in acqua. All'inconveniente pose rimedio un carabiniere che gli prestò le sue. Come si può bene immaginare l'operazione di svestirle l'uno e rivestirle l'altra avvenne al riparo da occhi indiscreti, dietro una fratta.

          A parte questi dettagli, la versione di Stefano diverge da quella di Mario solo in riferimento al compenso percepito da lui per aver recuperato il corpo del povero sventurato e dagli altri per averlo riportato in paese. Non è vero, dice Stefano che chiese e ottenne un tommoluccio di terra. Ma quale tommoluccio! Dopo aver pagato Trappolino con diecimila lire, gli eredi volevano spicciarsi con lui e con Mario facendogli un piccolo regalo, un complimento, come si dice in dialetto. Allora lui si rivolse al maresciallo dei carabinieri, il quale davanti ai parenti dell'annegato, gli chiese tra il serio e lo scherzoso:
          - Eh, caro giovane, non è che adesso tu ti metti a pretendere da costoro i soldi per comprarti un podere!
          E Stefano rispose: - Ma che podere e podere, qualcosa però mi devono dare a me e anche a Mario.

          E qualcosa quelli gli diedero. Settemila lire ciascuno, non una lire di più.





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