Araldica torese/4 - Mercurio e altri nomi tradizionali ed esotici di Toro
Data: Wednesday, 07 December 2016 @ 23:00:00
Argomento: Cultura


Riproponiamo un articolo comparso su La voce di Mercurio (Anno III, Gen. Feb. e Marzo 2014), dedicato ai nomi tradizionali di Toro. Spicca tra loro il nome torese per eccellenza che è Mercurio. Non a caso l'articolo s'intitolava Mercurio e sante Mercorie tra lampioni e giulidei.


Toro, Chiesa del Santissimo Salvatore,
San Mercurio disarciona Giuliano l'Apostata, Tela seisettecentesca di autore ignoto


Araldica torese/ 4
Mercurio e sante Mercorie tra lampioni e giulidei
Nomi tradizionali ed esotici dell’onomastica di Toro
di Giovanni Mascia

Grazie alla pratica di rinnovare nei nipoti il nome dei nonni, il patrimonio onomastico torese tradizionale era ancorato a pochi nomi. I più anziani possono confermare questa verità dall’alto della loro esperienza, ma è possibile supportarla con la semplice analisi di un documento storico, Lo stato delle anime della Parrocchia del Santissimo Salvatore del Comune di Toro. Fu redatto nella Pasqua del 1894 dall’arciprete pro tempore Valerio Carlone, originario di Campodipietra, chiamato come tutti i suoi colleghi a registrare i componenti dei diversi nuclei familiari ricadenti nella sua giurisdizione, riscontrati nel corso della annuale benedizione delle case. A quella data la popolazione torese contava 2685 anime, di cui 1336 femmine e 1349 maschi. Tra le donne, che erano stranamente in minoranza, imperava il nome della Madonna. Erano davvero rare le neonate toresi che non fossero battezzate con il nome di Maria (1193), (in dialetto Marjie, con le varianti Mariettèlle, ‘Ttelle, Mariúcce, Marieccèlle e via elencando). Più frequentemente il nome Maria era unito ad altri nomi. Nell’ordine Maria Giuseppa (169), Annamaria (121), Maria Giovanna (103), Maria Nicola (103), Mariantonia (94), Maria Rosa o Rosaria (87), Angelamaria (78), Maria Pasquala (53), Maria Michela (31) Maria Concetta, Maria Teresa e altri. Per il resto, in una selva di Lucia (Lecjie, Leceièlle, Luciètte), Filomena (Felomène, Mène, Menúcce), Saveria (Savèrie, Savèrjne), Cecilia, Gaetana (Caitane), Carolina, Caterina, Carmina (Carmenúcce, Núcce, Carmenèlle), Elisabetta ecc. spiccavano nomi rari, esotici o oramai fuori moda, come Diomira, Teodora, Prudenza, Anastasia, Veneranda, Preziosa, Pulcheria, Stella, Olimpia e una rarissima Celidea… Presenti altresì sei casi di un nome oggi scomparso e un tempo assai diffuso a Toro (anche tra i maschi), in omaggio alla Madonna di Loreto, alla quale è dedicato il nostro Convento: Lorita.



Toro, Archivio Parrocchiale. Prima pagina dello Stato delle anime del 1894,
redatto dall'allora arciprete di Toro, don Valerio Carlone da Campodipietra



In ambito maschile, invece, il nome più amato era Nicola (così anche in dialetto, ma un tempo era Necole ed era raro, riservato per lo più ai benestanti don Necola Petrucce, Don Necola Trotte, più comune invece Cole, Coljlle, Colúcce, Neculjne, come il famoso medico don Neculjne De Sanctis. Il nome di Nicola era condiviso da 305 Nicole Pammadore,/ pisce nu litte e dice ca chiove. Al vocativo, come tutti gli altri nome, allora come adesso perdeva l’ultima sillaba, divenendo tronco: Nicò, Cò, Colú, Neculj’! Seguivano 223 Giuseppe, Peppe Saccocce,/ ze rompe la cocce, (in dialetto Gesèppe, Sèppe, Pèppe, Pèppjne o Peppjne, Peppenille, Pjne, Pinúcce o Penúcce)), 212 Giovanni, Pacche de canne,/ mèrde ‘n cule e cippe ‘n canne, (in dialetto oggi Giovanne, ma più comune Geuanne (o Giuuanne), Geuannille, Geuannjne, Njne, Gianne e Giannetille), e 174 Pasquale me spacche a mné/ e i’ ne ppozze arreva a spaccà a Pasquale (in dialetto Pasquale, Pasqualúcce, Pasqualjne, Pasqualenille, Ljne, Linúcce). Che fossero nomi diffusissimi lo provano pure le strofette e lo scioglilingua trascritti. Seguivano con 138 casi gli Antonio ( ‘Ntonie, ‘Nteniúcce, ‘Ntenieccille, e oggi Tonjne) e con grado di diffusione via via inferiore i Luigi (Lejgge, Lejggille, Gjne e Ginúcce), gli Angelo (Angele, Angeljlle, in passato anche Ljlle, e quindi Angiuljne, Angelúcce, con le varianti Arcangelo, (Ni)Colangelo, (Do)Natangelo, Michelangelo, Martinangelo ecc.), i Francesco (Francjsche, Franceschille, Cjcche e Cecchille, Cjcce e Ceccjlle, Franche e Franchetille), i Michele (Mechèle, Mechelúcce, Mecheleccille, Mecheljne) i Domenico (Demjneche, Demenecúcce, Mjnghe, Mengúcce e Menguccille), i Saverio (Savèrie, Viúcce)…

In tale contesto si inseriva il nome più esotico di tutti, e nello stesso tempo il più familiare: il nome torese tipico, quello che alle orecchie dei campopetresi e sangiovannari e degli abitanti degli altri comuni limitrofi ci contraddistingue. Il nome del Santo Patrono, che i nostri vicini un po’ non riescono a pronunciare bene come vorrebbero e un po’ stravolgono ad arte per prenderci in giro in virtù del nostro dialetto piuttosto ostico, dicendo più o meno Sante Mercorie, con la o molto larga, anziché Sante Mercúrie, con la “ú”, che a un dipresso è il dittongo “èu”. Fanno bene perché, grazie al forte radicamento devozionale, il nome del nostro Patrono ha goduto sempre di larga popolarità a Toro, toccando proprio a fine Ottocento, il massimo della diffusione. Erano infatti 134 i concittadini maschi registrati dall’arciprete Carlone che si fregiavano di tale nome (in dialetto Mercúrie, mai unito a nessun altro nome, mai al femminile, e con un solo diminutivo, Mercuriille). Tenuto conto che, come si è detto, la popolazione maschile nel 1894 ammontava a 1349 unità, ne discende che un neonato su dieci era battezzato con il nome di Mercurio. Il grado di popolarità era pari al nome Antonio, di certo inferiore ai Nicola, Giuseppe, Giovanni e Pasquale, ma nettamente superiore a tutti gli altri nomi che abbiamo indicati, con i quali in pratica si copriva il panorama, soddisfacendo da soli, o quasi, alle esigenze onomastiche locali.

Di qui, come ci è capitato di dire in una precedente occasione, la meraviglia dei nostri concittadini di imbattersi in nomi nuovi o poco usati, che colpendo la loro immaginazione, era esteso come soprannome a tutta la famiglia di riferimento, non senza storpiarli, se possibile, stante la scarsa o nessuna frequentazione. È quanto avviene nei casi di Celidea, storpiata in Geledèje e così passata a designare un ramo della famiglia Felice, e di Olimpia, ribattezzata Lempeióne (Olimpiona, forse perché grossa), lei e la famiglia D’Amico.

A proposito di storpiature, calza a pennello un aneddoto che ci è stato raccontato da Michele Paternuosto. Suo padre, nativo di Capua, trovandosi a Toro per impegni di lavoro, vi rimase bloccato a causa degli eventi legati alla seconda guerra mondiale. Ebbe modo così di fidanzarsi e sposare Francesca Graziano, la ragazza che provvedeva a portargli da mangiare nella stanza presa a pigione in piazza del Piano. Una bella sera, tornato a casa, chiese alla moglie:

- Neh Francé, siente ccà. Comme se chiammane i paisane tóie?
E Francesca, per l’appunto, cominciò a elencare:
- Nicola, Giuseppe, Giovanni, Pasquale…
- Ah, Pasquale… Pascale sta bbene! – La interruppe il marito. – Da stasere so’ Pascale pure io!
E Pasquale fu. Il poveretto, che in verità si chiamava Erasmo, era stufo di sentire storpiare il suo nome, dai toresi. Che dall’indomani lo cominciarono a chiamare Pasquale il sagrestano, e con tale nome lo ricordano ancora oggi.


Anni Cinquanta. A sinistra Pasquale il sagrestano (Erasmo Paternuosto)
con Don Camillo Iacobucci, parroco, e i ragazzi dell’Azione Cattolica (Archivio M. Paternuosto).
Si veda in calce la lista dei ragazzi riconosciuti nella foto


Ma si diceva di Mercurio. Da qualche decennio, sono diventati rari o scomparsi del tutto i bambini che si fregiano del nome venerato. Scorrendo le liste elettorali, apprendiamo che già a metà Anni Cinquanta del secolo scorso erano solo 44 i Mercurio che comparivano tra gli 854 elettori maschi. Rappresentavano appena il 5%, della popolazione, in pratica la metà rispetto a sessant’anni prima: un Mercurio ogni venti toresi. Le generazioni successive, addirittura, sembrano avere bandito il nome, ritenendolo “pesante”. Sono decenni che non è battezzato nessun Mercurio, e ciò dopo un periodo in cui si è assistito a un curioso compromesso. In qualche caso i nonni Mercurio erano stati rinnovati nei nipoti con l’improbabile diminutivo di Mirco, che ovviamente non ha niente a che vedere con Mercurio. Mirco è la forma italianizzata di Mirko, diminutivo non di Mercurio ma del nome slavo Miroslaw che significa “pacifico, placido”, oppure secondo un’altra versione “colui che ha gloria nel mondo”. Insomma, un accostamento per consonanza. Qualcosa di analogo è avvenuto, sempre a Toro, con Salvatore, rinnovato in Silvano. E molto prima tra gli emigrati toresi negli Stati Uniti, che da Mercurio si sono ribattezzati Mark.

A tal proposito è curioso quanto negli ultimi decenni ad Archi, il paese abruzzese in provincia di Chieti, di antico patronato mercuriano, poi soppiantato da San Vitale. Anche ad Archi dove era molto diffuso, con circa 700 casi contati dal 1800 al 1920, oggi il nome Mercurio sembra non essere più di moda. Tanto è vero che molti nonni Mercurio (in dialetto Marcurie) si sono visti rinnovare nei nipoti ribattezzati con il falso diminutivo di Marco.


Toro. Chiesa parrocchiale 25 novembre 2001, ricorrenza del Santo Patrono.
Quattro piccoli “San Mercurio” durante la messa solenne (Foto S. Nazzario)


Non sono i soli torti subiti da San Mercurio in ambito onomastico. Tornando a Toro, e fatte salve la buona fede e la santa ingenuità, un altro affronto lo ha subito attorno al 1970, quando alla neonata squadra di calcio del paese fu dato il nome di Hermes Toro. Un nome, in verità abbastanza sonoro e perfettamente in linea con le innumerevoli Virtus o Audax sparse per la penisola, scelto con la convinzione fallace di dare alla squadra il nome del Santo protettore per affidarla alla sua celeste protezione.

Com’è noto, Hermes o Ermes o Ermete, figlio di Giove, nella mitologia greca è il dio, tra l’altro, dei ladri e dei bugiardi. Ora, è vero che nella mitologia romana il corrispondente di Hermes era Mercurio che possedeva molte caratteristiche simili a lui per essere il dio dei commerci. Sennonché il Mercurio romano è di derivazione etrusca e non greca. E suona persino blasfema la forzata assimilazione del nostro Santo protettore, che si chiamava Filopatròs, prima di essere acclamato come Mercurio dai Romani, con l’Hermes greco. Non è autorizzata nessuna associazione nemmeno onomastica con il Dio di quell’empireo pagano, che il Santo martire aveva ricusato senza tentennamenti per confermarsi nella fede cristiana, al prezzo della decapitazione.

Fatte sempre salve la buona fede e la santa ingenuità, un più recente sgarbo è stato inferto al Santo Patrono dalla corale torese “Coram Populo”, fondata nel 2001, poi ribattezzata “Laudate Hermes”, giusto per litigare in una volta sola con il latino, il greco e l’italiano e assegnare di nuovo al dio greco protettore dei ladri e dei bugiardi il posto spettante a San Mercurio, al quale fa preciso riferimento se non il nome adulterato almeno l’emblema del sodalizio con la tela torese del Santo che disarciona Giuliano l’Apostata.

A parte il disdicevole qui pro quo, "Laudate Hermes" è davvero inopportuno, tenuto conto che l’invito a lodare Hermes, un dio pagano, risuona per lo più in chiese cristiane, dove di norma la corale si esibisce.


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