Che ci azzecca “La valle delle canne” con “U valle du canne”?
Data: Friday, 02 January 2009 @ 10:49:56
Argomento: Cultura


Abbiamo avuto occasione di mettere il dito nella piaga nelle traduzioni più o meno a orecchio e avventate che i burocrati fanno dei nomi delle contrade toresi che si tramandano in dialetto. Essendoci arrivate ulteriori richieste di chiarimenti torniamo con piacere sull’argomento.




Un esempio di approssimazione burocratica è data dalla Chiantenacce, contrada che viene tradotta in italiano con “Piantinaccia” oppure “Piano Interaccia”. Che sono autentiche cantonate. Giacché Chiantenacce non è altro che Chiane Antenacce, ossia la contrazione dialettale di Piana Antonacci (dal cognome di una famiglia torese ora estinta, ma non del tutto dimenticata fino a quando sapremo conservare la traccia di memoria legata alla contrada che porta il suo nome).




Altro esempio, ‘A chiane di sunne (doppia enne) è diventata con qualche forzatura “Piana di Sonno” sulla cartina ma del tutto impropriamente “Piana del sonno”, nei cartelli stradali, entrambe diciture che, se rispondono all'esigenza di italianizzarla in qualche modo, non rispettano la locuzione popolare, che ha la preposizione articolata plurale "di" (=dei o delle) e non quella semplice "de" (=di) o articolata singolare maschile "du" (del). Del resto sgombriamo il campo dalla ipotesi che questi sunne o sune siano i "suoni" che secondo qualcuno potrebbero essere. Tuteliamo quindi il diritto-dovere di salvaguardare l'esatta o quanto meno quel che rimane dell'originaria denominazione dialettale della contrada.
‘A chiane di sunne: La piana dei Sonno, dunque, dovrebbe essere la trascrizione italiana della denominazione dialettale. E l'apparente incongruenza è facilmente spiegata dal nome della famiglia torese omonima in auge nel Cinquecento, e purtroppo estinta anch'essa, che al pari degli Antonacci, ci ha lasciato il nome nella contrada a essa intitolata. Insomma, Piana dei Sonno (della famiglia Sonno), analogamente al Vallone dei Trotta, al Casino dei Magno ecc.

Ulteriori esempi non mancherebbero. Ma veniamo alla cosiddetta “Valle delle canne”.

Come sappiamo bene, l’espressione torese per designare la contrada in discussione è U valle du canne tutto al maschile e al singolare. Ma ignoriamo perché i soliti burocrati, in questo caso anche quelli antichi, per esempio i redattori del Catasto 1742, l’abbiano tradotta alla leggera con “La valle delle canne”, ossia volgendo il tutto al femminile e il complemento di denominazione anche al plurale.




Ora è chiaro che U valle non dovrebbe essere tradotto con “La valle”, perché in questo caso in dialetto sarebbe stato al femminile: ‘a valle. Tant'è vero che nelle antiche carte toresi spesso e volentieri è italianizzato in lo vallo, per esempio "Allo vallo delle Serre". Ma ammettiamo pure che U valle sia la valle. Del resto se a Toro si dice U vallóne per indicare un fosso longitudinale sul cui fondo scorre un ruscello invernale, può essere che in illo tempore si dicesse U valle per indicare la valle. Anche se è strano che con l’accrescitivo U vallone si indichi il fosso piccolo mentre con il termine originario U valle la valle, ossia l'ampia vallata. Semmai sarebbe dovuto essere il contrario. Comunque sia, quello che è certo è che du canne non è “delle canne”, perché in dialetto sarrebbe dovuto essere di canne. In altre parole, “La valle delle canne” sarebbe stata giusta se in dialetto si dicesse ‘A valle (U valle) di canne.

Invece si dice U valle du canne. E lo si dice, sapendo bene quel che si dice. Lo conferma una filastrocca, uno sfottò per prendere in giro uno dei tanti Giovanni toresi, che recita:
 
Giuuanne, pacche de canne,
mmerde n’cúle e ccippe n’canne
è ppadróne de tútte u valle du canne.
 
Giovanni, chiappa di canna,
merda in culo e sterpo in gola,
è padrone di tutto U valle du canne.
 
Ed è curioso che la filastrocca, dove compare la parola pacca, che vale sia “chiappa” sia lista di canna o di legno (si pensi alle paccarelle che collegavano le travi dei soffitti e dei tetti), ruoti attorno ai diversi significati del termine dialettale canne, introdotti da precise preposizioni semplici e articolate. Nel primo verso di canna, il vegetale (da cui trae origine sia la canna, unità di misura di lunghezza, pari a 8 palmi napoletani e quindi a m. 2,10 circa, - proverbio 'N quélla canne c'ammesúre, si' rammeserate, con la stessa canna che misuri, sarai misurato -, sia la canna, unità di misura di solidi come legna, pietre... e per traslato unità di misura del sonno di valore indefinito: Me so ffatte 'na canne de sunne, Mi son fatto un bel sonno). Nel secondo verso in gola (ricordiamo anche un altro equivalente dialettale di gola che è u cannarine). Nel terzo verso du canne… e vedremo cosa potrebbe essere questo del canne.

Prima, per completezza di esposizione, annotiamo che il toponimo torese è stato di recente utilizzato da Antonio Fratangelo a supporto di una tesi storica ardita. A parere dello studioso, la battaglia di Canne non è stata combattuta da Annibale e i romani sulle rive del fiume Ofanto ma sulle rive del Fortore. Così, Fratangelo non ci ha pensato due volte e ha immediatamente collegato “U valle du canne” di Toro alla famosa Canne della Battaglia, trasportata dall'agro di Barletta sulle rive del Fortore, a pochi chilometri da noi. L’accostamento è quantomeno azzardato. U valle torese (da Fratangelo trascritto senza esitazione “La valle”), per avere un minimo di collegamento con la città o con la localita di Canne (in latino Cannae), non sarebbe dovuto essere du canne, come è, ma “de Canne” (ossia “di Canne” sul falsariga della locuzione dialettale de Campeuasce, “di Campobasso”) oppure da Canne (ossia “della [città di] Canne”, sulla falsariga della locuzione da Rjcce “della Riccia”).

Eccoci dunque a noi. U valle, rigorosamente maschile, si può tradurre con “Il vallo”, che vale fortificazione, accampamento (ma anche muraglia, terrapieno, argine ecc.). E du canne con “del Khan”. Khan è un titolo nobiliare di origine centrasiatico/altaica (Mongolia e Turchia). Si trova anche scritto come Kan, Xan, Han, Ke Han. Originariamente voleva significare comandante, leader o capo tribù. Niente di strano che il nostro Khan fosse il comandante, il signore, il principe di alcune popolazioni barbariche, come i Bulgari, che si stanziarono in queste contrade (secondo il D'Amico - fondarono Jelsi), ed erano organizzate in khanati, ovvero tribù con un Khan a capo.

Come andarono le cose ce lo raccontano gli storici. A cominciare dal Giannone (Istoria civile del Regno di Napoli), che intitola il II paragrafo del libro IV “Venuta de’ Bulgari, e origine della lingua italiana”. Scrive tra l’altro Pietro Giannone (e dopo di lui il Cantù e altri), attingendo dal cronista longobardo Paolo Warnefrido, meglio conosciuto come Paolo Diacono:
 
Alczeco, duca de’ Bulgari,… abbandonando, né si sa per qual cagione, i suoi propri paesi, entrato pacificamente in Italia co’ suoi Bulgari, offre a Grimoaldo [re longobardo e re d’Italia ] il suo servigio, cercandogli di voler abitare co’ suoi in qualche luogo che gli destinasse del suo dominio […]
Il re, accoltolo benignamente, pensando potergli molto giovare a soccorrere e aiutare il suo figliuolo contra i Greci, lo mandò in Benevento a Romualdo, al quale impose che a lui colla sua gente assegnasse alcuni luoghi del ducato beneventano, ove potessero abitare. Il duca Romualdo, graziosamente ricevendogli, diede per loro abitazione molte buone città di quel ducato, cioè Sepino, Boiano ed Isernia, con altre città e territori vicini[…]
Ed ecco circa questo anno 667 introdotta nel nostro regno una nuova nazione di Bulgari: gente che per molti secoli abitò in quelle contrade che ora contado di Molise chiamano, e che sebbene centocinquanta e più anni da poi, quando Warnefrido scrisse la sua istoria, avessero appreso il nostro comune linguaggio italiano, non aveano però ne’ tempi di quest’istorico ancora perduto l’uso della lor propria favella […]

Tra l’altro risulta molto interessante l’aggancio della nascita della lingua italiana (e dei dialetti) alla venuta dei Bulgari, per il quale rimando i curiosi di maggiori dettagli al Giannone, limitandomi (sulla scorta del citato D’Amico) ad annotare una serie di vocaboli bulgari che sono approdati nel dialetto molisano (e torese):
 
1) ciabotte, impasto di rozzi commestibili;
2) ciuotte o ciote, pieno tondo;
3) krik, eretto, svelto, nkrikka’ saltar su dritto ;
4) puta-puta, voce di richiamo delle anitre (da slavo-tart. potka-anitra);
5) scerte, canaletto d’acqua d’afflusso alle gore dei mulini (da mong. shi acqua ed er (t) vena);
6) marrak, coltello fisso (da tur. mizrak-ferro in asta, lancia);
7) tele-tele, pieno pieno, zeppo zeppo, (da pann. teljes, turc. dolu-pieno);
8) zurre, becco [ossia maschio della capra, ndr](pann. szule-genitore, turc. zuhre-Venere, simbolo della riproduzione);
9) saracone, rigoiolo (turc. sari-giallo e kus-uccello);
10) varta, aspettare (la prima a della parola ha suono ottuso e nella pronnzia si avvicina ad e). Ha piena rispondenza col verbo ungherese var-ni, specie in qualche tempo della forma indeterminata. Es. perfetto ungh. var-t-am, molis. var-t-ai, aspettai;
11) zek-zik, piccola, piccolo (dal tib. za-piccolo).
 
A questi vocaboli bisogna aggiungere un toponimo bulgaro: Cantalupo, che - sempre secondo il D'Amico - deriva da “Khan Teleped” cioè residenza del capo. In Italia ci sono diverse contrade e qualche comune con questo nome, tra cui Cantalupo nel Sannio. C’era, soprattutto, anche un Cantalupo ancora più vicino a noi: un feudo rustico, cioè disabitato, che si estendeva ad appena un paio di chilometri da U valle du canne, tra i territori di Toro e Jelsi, e come Toro apparteneva all’Abbazia di santa Sofia di Benevento.
 
Niente di più probabile allora che anche “U valle du canne” ricordi quei tempi agitati di tredici, quattordici secoli fa. Se i Longobardi, che hanno concesso ai Bulgari di occupare le nostre terre di Molise, che all’epoca contava le superstiti città romane di Sepino, Boiano e Isernia, essendo pressoché deserti gli altri territori, ci hanno lasciato il nome della contrada torese Fara (anch’esso assai diffuso), che è l’equivalente longobardo di accampamento, tribù, perché i Bulgari non avrebbero potuto lasciarci in retaggio, oltre a Cantalupo, anche il loro “Vallo" o la loro "Valle del Khan”?

Sarebbe stato imperdonabile disperdere questa importante traccia di indagine per la leggerezza di non fare bene attenzione alle parole esatte consegnateci dalla tradizione dialettale torese.

Giovanni Mascia

(Si prega di citare la fonte ToroWeb in caso di utilizzazione del testo e del documento. Questo articolo è protetto da diritti Creative Commons)



Questo Articolo proviene da TORO Web
http://www.toro.molise.it/

L'URL per questa storia è:
http://www.toro.molise.it//modules.php?name=News&file=article&sid=705