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Il volgare strumento dello scarparo (Toro che non c'è più) |
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![]() Metà Anni Sessanta. Il maestro Di Fabio apri una scuola di musica ad orientamento bandistico, ma non c'erano né strumenti né soldi per comprarli. E come si faceva a fare musica per banda senza strumenti? Si provò a cercarli in prestito. E si andò incontro a qualche gustosa disavventura...

Al carissimo amico
Antonio Salvatore
Antonio di Fabio da Castellino era un valentissimo suonatore di clarinetto, anzi uno specialista di un clarinetto dalle dimensione ridotte e perciò chiamato "Piccolo in Lab", oppure familiarmente "Sestino". Tanta la sua bravura che fu incaricato negli anni Trenta e subito dopo la seconda guerra mondiale di dirigere (con successo) la Banda di Toro, un complesso rispettabile che allora aveva anche un repertorio operistico per allietare le serate.
Sennonché la grossa ondata emigratoria del dopoguerra mise fine all'esperienza bandistica torese. Buona parte dei dilettanti che avevano animato il Gran Concerto "Città di Toro" cercò fortuna altrove, specialmente in Venezuela. E anche il Maestro DI Fabio che nel frattempo aveva sposato una nostra compaesana si trasferì a Campobasso.
Una quindicina d'anni dopo, ormai anziano, fu incaricato di aprire una scuola di musica ad orientamento bandistico, nei locali del Municipio. C'erano diversi ragazzi di dieci, undici anni o giù di lì, volenterosi di apprendere la nobile arte della musica. Il guaio è che non c'erano né gli strumenti né i soldi con i quali i genitori avrebbero dovuto comprarli. E come si fa a fare musica bandistica senza clarini, trombe e tromboni?
Il maestro non si perse d'animo. Il tempo di approntare la lista degli ex bandisti toresi ed eccoli, i ragazzi, sguinzagliati per il paese per chiedere in prestito vecchi strumenti, a volte dai nomi strani e mai sentiti. Come il genis che avrebbero dovuto andare a richiedere allo scarparo che aveva la bottega sotto il Barbacane. Il genis? La strana parola non voleva entrargli in testa e la storpiavano in tutti i modi. Ma il maestro gli venne incontro: - Non importa se non la ricordate, basta che dite lo strumento e il calzolaio vi capirà.
- Ci vado io! - disse allora Giovanni, (o forse Lucio o Salvatore o chissà chi...). - Ci vado io, che ho capito chi è?
In realtà sotto il Barbacane c'erano due botteghe di scarparo, gestite da due fratelli, allora già molto anziani. Il ragazzo entrò nella prima e disse:
- Ze Pasqualù, ha ditte u maéstre Di Fabbie ch'i manne u strumente...
- Che strumento e strumento, rispose piuttosto sgarbatamente zi' Pasqualuccio. Non senza suggerirgli, tuttavia, di rivolgersi al fratello, nella bottega accanto. Cosa che il ragazzo fece, ripetendo la richiesta: - Ze Maste Pè, ha ditte u maéstre Di Fabbie ch'i manne u strumente...
Ora, bisoagna sapere che Mastro Peppe, oltre ad essere uno scarparo bravo come il fratello, era molto pio, assai legato a monaci e preti, e appunto per questo capo riconosciuto di alcune commissioni feste nonché priore dei pellegrinaggi di primavera, Solo che a sentirlo parlare sarebbe stato difficile ipotizzare queste sue inclinazioni devozionali.
Impedito com'era da un paio di puntine che reggeva tra le labbra, zi Maste Peppe non potette rispondere subito. Se ne restò zitto, continuando a martellare il coppatacco. Ma quando il ragazzo tornò a chiedergli dello strumento per il maestro, sputò le puntine nel pugno e disse:
Dill'u maéstre Di Fabbie ca se vvò u strumènte, u tinghe ammiz'i cosse!
Il ragazzo pigliò, incartò e portò a scuola dal maestro Antonio Di Fabio da Castellino, che per le esercitazioni bandistiche dei suoi alunni dovette rassegnarsi a fare a meno del genis, ovvero dello strumento di Mastro Peppe. Giovanni Mascia
 Genis, o Flicorno in Mib
Nota: Si prega di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo. Questo articolo è protetto da diritti Creative Commons
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Postato il Giovedì, 31 marzo 2011 @ 15:10:00 di giovanni_mascia |
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