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Convito San Giuseppe

A proposito del convito di San Giuseppe, scriveva Luigi Alberto Trotta nel libro delle sue memorie personali (1913): “Il giorno della festa di San Giuseppe molte famiglie e, in generale, di contadini, per atto di carità o per voto, preparano un lauto desinare per i poveri; quanti di costoro vogliono prendervi parte, anche se venuti di fuori accolgono cordialmente e tutti insieme, padrone di casa e commensali si assidono al desco ospitale.

 Il desinare non è sobrio: s’imbandiscono più minestre di maccheroni, conditi con l’acciugata una ed un’altra con il midollo di pane, sminuzzato con la grattugia e misto ad olio e pepe. La devozione è lodevole: non v’è cosa migliore della carità; ma quell’abbondanza non è tutta per il povero. I parenti, i vicini, gli scioperati, vi hanno parte, prevaricano, si danno alla crapula e la devozione svanisce. Ma il povero mangia benone, passa una giornata allegra fuori della mutria e senza la solita melanconia”.

In verità, il convito dei giorni nostri è andato oltre l’originario scopo di preparare una minestra per i poveri (sono sempre meno quelli che hanno bisogno del solo tozzo di pane, e comunque restano i benvenuti), per trasformarsi in un’occasione di ritrovata comunione: almeno una volta all’anno, chi vive altrove ritorna, l’amico ritrova l’amico, il familiare siede di nuovo a tavola con il familiare. Destinato all’insuccesso, perciò, il tentativo di quei religiosi che hanno consigliato di sopprimere l’antica usanza per devolvere l’equivalente della spesa del pranzo a favore di enti di carità: il convito non è solo elemosina.

Non vanno trascurati nemmeno gli aspetti accessori. O principali, secondo i punti di vista. La riscoperta di pietanze e ricette originali, per esempio. A quelle ricordate dal Trotta è d’obbligo affiancare almeno il baccalà origanato (cotto al forno, coperto di mollica di pane, bagnata in olio di oliva, con foglioline di alloro e un’ombra di pomodoro) e i “cavezune”, sorta di sfogliatelle, il cui ripieno è dato da un purè di ceci e miele.I giorni di vigilia sono scanditi dai preparativi culinari e dai riti religiosi di pentimento e di espiazione. In particolare, la sera della vigilia di San Giuseppe, i maschi del paese, bambini, giovani, uomini adulti e vecchi, si ritrovano a gremire la chiesa per assolvere all’obbligo del precetto pasquale, in una cerimonia esclusiva, tutta per loro, che riesce di qualche suggestione.

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