TORO Web - La zella di don Camillo (Toro che non c'è più)
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La zella di don Camillo (Toro che non c'è più)
Protagonista dell'episodio raccontato in modo affettuoso e ironico allo stesso tempo, è Don Camillo Iacobucci, arciprete di Toro dal 1948 ai primi anni Ottanta. E' stata una figura indimenticabile, specie per le decine e decine di ragazzi che negli Anni Cinquanta frequentavano l'Azione Cattolica, struttura portante della vita sociale del paese di allora.



Locandina del colossal I dieci comandamenti di Cecil B, De Mille


Il racconto di Nicola Iacobacci mi ha portato alla mente la trattoria gestita dal padre, Peppe Iennariello, in via Roma a Campobasso, e un pranzo ivi consumato insieme a Don Camillo nel 1957 o forse 1958, quando arrivò al cinema Ariston il film “I Dieci Comandamenti” di De Mille.

Come accadeva sempre in queste occasioni, l'arrivo a Campobasso di un grande film si trasformava in un evento, e noi ragazzi corremmo tutti a vederlo. Seguirono, come sempre, vivaci discussioni tra di noi, ragazzi dell'oratorio, e l'arciprete, e quest'ultimo manifestò, nei giorni successivi, la volontà e il desiderio di andare a vedere il film. Non volendo, o non potendo, andarci da solo, propose a me di accompagnarlo.

Ci organizzammo con gli orari: lui prese il pullman delle 13.30 da Toro, ed io, che allora frequentavo l'istituto tecnico “Pilla”, lo aspettai alla fermata del pulmann. Appena giunto nel capoluogo verso le 14.00, girammo l'angolo ed entrammo nella trattoria. Peppe Iennariello lo accolse con gentilezza e deferenza, e ci fece accomodare in un tavolo riservato al primo piano, in una specie di ballatoio (gli altri tavoli erano sistemati tutti al piano terra). Consumato il pranzo, l'arciprete pagò il conto, naturalmente, e, poi, ci avviammo verso l'Ariston.

Ricordo che durante la proiezione del film, data la confidenza che avevo con lui, quando si avvicinavano scene un po' osé, come quelle dell'orgia ai piedi del vitello d'oro, mentre Mosè era salito sul monte Sinai per ricevere le Tavole dei Dieci Comandamenti (che fervida fantasia aveva chi ha scritto la Bibbia!), io, dandogli un colpo di gomito, gli intimavo: "Chiudi gli occhi! Altrimenti si alza la zella!".

Don Camillo, come molti ricorderanno, aveva il riporto nei capelli per coprire una estesa calvizie e, spesso, quella "zella" di capelli si alzava.


Pasqua 1972. Don Camillo a tavola con gli apostoli, in casa Pietrantuono.
Molto visibile, la zella, ovvero il vistoso riporto con il quale tentava di mascherare la calvizie


Per noi ragazzi dell'oratorio il riporto era diventata una specie di strumento di previsione: quando stava per arrabbiarsi, lo prendevamo bonariamente in giro, avvertendolo: "Mo’, si alza la zella!"
Se, nelle serate d'estate, lui si metteva a passeggiare sul sagrato della chiesa avanti e indietro e tirava un po' di vento e gli si alzava la "zella", noi subito prevedevamo "Domani viene a piovere!"

Perciò quando le vedevamo passeggiare, noi subito lo affiancavamo. Soprattutto per scroccargli qualcosa: una tavoletta di cioccolato (che era molto buono, e che lui riceveva frequentemente con i pacchi della Pontificia Opera di Assistenza), o una sigaretta, che ci mandava a comprare sfuse, 5 o 10 Nazionali nel sottostante negozio di Peppinella Pizzuto, per farci una fumatina in compagnia. Ma anche perché dopo, se ci premeva che non piovesse il giorno successivo, avendo in programma una partita di calcio, prima di salutarlo, gli intimavamo: "... Meh, mo vatténne na casa, se no ze avez'a zella e dumane vè a chiove!"...

Dopo la visione del film, tornammo a Toro con il pulmann delle 19.00,e nei giorni successivi,
per un lungo periodo, lo prendemmo in giro, dopo che raccontai agli altri ragazzi il fatto che gli si alzasse la zella e gli si "spalancassero" gli occhi quando passavano le scene osé sullo schermo!

Giovanni Rossodivita
Postato il Lunedì, 30 gennaio 2012 @ 23:00:00 di giovanni_mascia
 
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Re: La zella di don Camillo (Toro che non c'è più) (Voto: 1)
di Vincenzo (anchise.enzo@libero.it) il Venerdì, 03 febbraio 2012 @ 09:34:33
(Info Utente )
La zella di Don Camillo si alzava spesso a causa della sua intemperanza e ira violenta, qualche volta a causa di fatti eclatanti che accadevano nella nostra picccola comunità. Dal suo pulpito saettavano rimproveri aspri e anatemi alla Savonarola. Una sera, dopo la messa, ero ad attenderlo in sacrestia, ed io fui involontariamente il capro espiatorio della sua furente ira. Era avvenuto l'ennesimo terremoto, col solito provvedimento di chiusura al culto della chiesa. Approfittando della chiusura qualcuno aveva issato alla sommità del tetto della chiesa la sua antenna per poter captare le prime TV private. Ciò facendo aveva rotto decine e decine di vecchie tegole, di conseguenza, facendo piovere in chiesa. La chiesa era stata appena riaperta al culto allorchè Don Camillo aveva notato l'ennesima chiazza scura di muffa sulla volta dell'edificio sacro. Quella sua prima messa dopo la riapertura della chiesa fu drammatica per aver infierito con parolacce irripetibili e blasfeme verso di me, e mentre la sua zella si alzava, cercavo di calmarlo, ma inutilmente. Qualche giorno dopo la sua rabbia gli provocò il male che lo avrebbe portato qualche anno dopo alla morte, dopo il riocovero a Collevalenza. Erano quasi le dieci di sera quando andai a fargli compagnia all'ospedale Cardarelli , piangeva farfugliando incomprensibili parole. Gli sono stato vicino fino a quando non ha spirato. Gli ho sempre voluto bene, nonostante il burbero carattere.


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